Economia e Finanza

Credit Suisse: tisana o cura da cavallo

La ricetta per uscire dalla crisi sembra sempre la stessa: meno investment banking e più gestione patrimoniale. Basterà? Il commento di Luca Fasani

  • 25 ottobre 2022, 12:42
  • 24 giugno 2023, 00:51
Credit Suisse

Non è ancora noto quale sarà il vero piano di rilancio del Credit Suisse, ma circolano varie ipotesi.

  • archivio Keystone
Di: Luca Fasani

"Il grande malato del settore bancario elvetico”. Oggi a sentire queste parole non si può che pensare a Credit Suisse, eppure basta tornare indietro di qualche anno e il nome sulla bocca di tutti era quello di UBS. Corsi e ricorsi storici si potrebbe dire.
Sorprende però che la ricetta sul tavolo del consiglio d’amministrazione di Credit Suisse per uscire dalla crisi sarebbe la stessa su cui puntò oltre dieci anni fa UBS. Vale a dire: meno investment banking e più gestione patrimoniale. L’impressione è che Credit Suisse, uscito senza troppi danni dalla crisi finanziaria, fosse convinto che il mondo non era cambiato. L’investment banking per il CS poteva continuare ad essere un settore di successo. E secondo i maligni è stato proprio così, almeno dal punto di vista dei manager e dei bonus incassati.


Spiace considerare l’investment banking come un problema di Credit Suisse, viste le sue radici. Nell'Ottocento il CS nasceva come banca d’investimento, e fra le opere finanziate troviamo il tunnel ferroviario del Gottardo. Un esempio di economia reale, mentre oggi una certa finanza sembra occuparsi più di sé stessa. Nei decenni in cui Credit Suisse si è avventurato negli Stati Uniti con l’entrata in First Boston, l’impressione era spesso quella che questa fosse la parte più dinamica e preziosa della banca. Oggi invece si rivaluta la stabilità e affidabilità delle operazioni bancarie in Svizzera e le tradizionali attività di gestione patrimoniale.


Quale sarà il piano di rilancio del CS non è ancora noto, anche se la stampa riporta quotidianamente indiscrezioni e teorie. Dalla variante tisana, con qualche dismissione e la raccolta di nuovo capitale, alle possibili cure da cavallo con cessioni di peso, soprattutto nell’investment banking e magari anche con la riproposta del piano di mettere in borsa le attività di banca universale in Svizzera. Di certo negli anni l’argenteria, leggi molti immobili, è già stata venduta.


L’augurio però, è che non si tenga conto solo del valore dei titoli per far subito contenti gli azionisti, ma anche delle sensibilità del personale. Non è un caso che le incertezze di oggi si facciano sentire negli uffici della grande banca con molte persone, anche in ruoli chiave, che passano alla concorrenza. È successo recentemente anche sulla piazza finanziaria luganese. Ci vuole un piano che tenga conto del personale per scongiurare fughe di clienti. Così da far progredire a lungo termine il valore della banca anche per clienti, personale e azionisti.


Avere in Svizzera due grandi banche solide aiuta a diversificare i rischi e stabilizzare il sistema. Lo abbiamo scoperto una quindicina di anni fa, vediamo di non dimenticarlo.

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