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I Falasha, gli ebrei di Etiopia

La "Legge del Ritorno" non è stata applicata almeno a 9'000 persone che ora vivono in baracche e povertà, separati dalle loro famiglie

  • 6 agosto 2018, 07:58
  • 8 giugno 2023, 20:53

La tredicesima tribù

RSI/Franco Zambon 06.08.2018, 07:30

  • ©Franco Zambon

Iniziamo oggi un viaggio tra popoli e tribù poco conosciute. Per una settimana gireremo per il mondo - che è grande e vario - cercando di capirlo e conoscerlo un po' meglio. Prima tappa: l' Etiopia.

I falasha, tredicesima tribù d'Israele

I falasha sono la minoranza di religione ebraica originaria della regione dell’Amara nel nord dell’Etiopia le cui origini rimangono ancora oggi avvolte nel mistero. Interpretazioni religiose ritengono si tratti dei discendenti frutto dell'unione tra Salomone e la Regina di Saba, mentre gli storici suppongono che la comunità ebrea etiope provenga più realistcamente dalla fusione tra le popolazioni africane e un gruppo di ebrei fuggiti dopo la distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C.. Potrebbe trattarsi di discendent della tribù di Dana una delle dodici tribù perdute dell’antco regno di Israele.

Dopo la formazione dello Stato d’Israele nel 1948 a tutti gli ebrei del mondo gli israeliani diedero il diritto di trasferirsi nella “terra promessa” secondo la famosa Legge del Ritorno, ma su questa comunità ebraica perduta nacque un dibatto politco-religioso incentrato sul riconoscimento della loro efettiva “ebraicità”.

Gran parte della minoranza ha potuto compiere la “aliyah” (migrazione) grazie al pronunciamento favorevole di alcuni rabbini illustri negli anni 70. Vedendoli minacciati dalla povertà e dal sanguinario regime comunista del DERG in Etiopia, Israele organizzò delle missioni militari organizzate dal Mossad per evacuarli. Le operazioni “Mosè”a “Giosuè” e “Salomone” trasportarono migliaia di falasha in Israele con dei ponti aerei segreti che partivano dal vicino Sudan o direttamente dall’Amara etiope.

Ebrei di serie B, in Etiopia come in Israele

Oggi la comunità di ebrei etiopi in Israele, che preferisce essere chiamata “Beta Israel” (Casa d’Israele), conta circa 135mila persone. Contrariamente a quanto si possa credere, la vita in Medio Oriente è tutt’altro che semplice. Gli ebrei etiopi si sentono “ebrei di serie B”, perchè la loro inclusione sociale ed economica nella società israeliana è difficile, subiscono frequenti casi di razzismo e hanno poca rappresentanza politca.

Ancora peggiore è la situazione della parte di loro che è stata volutamente lasciata in Etiopia, i cosiddetti falasha mura. Quest ebrei etiopi che non sono stati inclusi nella Legge del Ritorno perché i loro antenati furono costretti a convertrsi al cristanesimo per un breve periodo durante il XIX secolo da missionari anglicani. Attualmente si stima siano 9000, di cui 7000 a Gondar, città luogo d’origine di tutta la comunità e il resto ad Addis Abeba per lo più concentrato in un ghetto di baracche fatiscenti e senza servizi situato a poca distanza dall’Ambasciata israeliana. Discriminati dagli etiopi, hanno difficoltà a trovare lavoro, alloggi e nel mandare i figli a scuola.

Da anni è in corso un braccio di ferro con le autorità israeliane riguardo la loro immigrazione. Nel 2015 la Knesset aveva votato a favore del trasferimento definitivo con un piano quinquennale da 284 milioni di dollari, ma poi il governo Netanyahu si è rimangiato tutto e i fondi per la loro migrazione devono essere approvati ogni anno nel bilancio. Cosa che ultimamente non è avvenuta. Oggi dopo innumerevoli proteste e scioperi della fame ad Addis Abeba e in Israele, i falasha mura sono ancora in Etiopia in attesa, separati da una parte delle loro famiglie che li sta aspettando in Israele. Una storia dolorosa che getta ombre sulla classe dirigente e su una parte dell’opinione pubblica israeliane. Gli ebrei, forse, non sono tutti uguali.

Franco Zambon

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