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Il sarto Ibrahima ha un sogno

Fuggito dalla Libia, dov'era saldatore, oggi è impegnato in un progetto che gli ha aperto nuove prospettive

  • 6 giugno 2017, 08:04
  • 8 giugno 2023, 07:03

Lavorare a Karaló (che in lingua mandinga significa sarto) - di Valerio Maggio

RSI Info 06.06.2017, 07:30

Ibrhaima Deitta è alto e sorridente, è nato in Senegal, ed è lui a portarmi all’interno della sartoria Karalò. Per Ibrhaima è diventata una seconda casa, un luogo di aggregazione, di lavoro e di crescita personale. Dopo aver lavorato come saldatore in Libia ed essere stato incarcerato per sei mesi, ha deciso di fuggire in Italia. È durante la sua permanenza in un centro d’accoglienza romano che viene in contatto con i sarti di Karalò. Mi racconta che il nome della sartoria è una parola mandinga, un gruppo di lingue dell’Africa Occidentale, che significa appunto “sarto”.

Inizia a frequentare la sartoria e aiuta gli altri ragazzi a mettere in sesto i locali nel centro occupato Communia, a Roma. “È un luogo di lavoro ma anche un posto dove incontrare amici, bere tè africano e sentirsi a casa. Qui a Karalò siamo tutti uguali”, racconta Ibrhaima. Per lui imparare il lavoro del sarto è stato difficile, ma stimolante e poter trasferire le sue competenze ad altri richiedenti l'asilo lo rende felice. In breve tempo è diventato un esempio per gli altri ragazzi che guida nella realizzazione di borse, vestiti su misura e altri prodotti d’artigianato.

Valerio Maggio

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