Terra promessa, ma non per tutti. Israele mette alla porta i richiedenti asilo africani con un piano di “partenze volontarie” che i migranti chiamano “deportazioni”. Il piano riguarda 20.000 eritrei e sudanesi non sposati che sono costretti a scegliere: la prigione per un periodo indefinito o 3.500 dollari e l’espulsione verso “paesi terzi sicuri”. Paesi di cui Israele non ha mai rivelato i nomi. Le ong e l’Unchr puntano il dito contro Uganda e Ruanda, con cui lo stato ebraico avrebbe firmato un accordo segreto. Denaro e rifornimenti tecnologici in cambio di migranti espulsi.
Il ministro dell’interno israeliano Aryeh Deri ha confermato a fine gennaio che uno Stato di cui tiene segreto il nome ha espresso “il suo esplicito consenso” ad accogliere i migranti espulsi con la forza. Il Ruanda smentisce con forza : « È una fake news. Il nostro governo non ha mai firmato nessun accordo riguardante la rilocazione o l’accoglienza di migranti africani. Israele voleva questo accordo, ma non l’abbiamo mai concluso », tuona M. Olivier Nduhungirehe, segretario di Stato al ministero degli esteri.
Il centro di detenzione per migranti di Holot nel deserto del Negev è arrivato ad imprigionare più di 3.000 persone. A partire da inizio marzo, il governo israeliano ha iniziato ad espellere i migranti dal centro distribuendo loro gli avvisi di espulsione. Secondo l’Unhcr, 4.000 richiedenti asilo sono già stati espulsi dal 2013, prima dell’annuncio della misura del governo.
L’Autorità israeliana per il Popolo e l’Immigrazione promette «assistenza, documenti e un ritorno degno» a chi accetta di partire. Ma le voci dei migranti oggi in Ruanda e Uganda parlano di promesse non mantenute. I documenti vengono confiscati, il lavoro non c’è, un futuro nemmeno. I richiedenti asilo africani in Israele lo sanno bene. Sono in pochi ad accettare di partire. Sapendo cosa li attende, scelgono la prigione.
Stefano Lorusso Salvatore - Arianna Poletti