"Joni's Jazz" di Joni Mitchell, Rhino Entertainment (dettaglio di copertina)
La Recensione

Joni Mitchell, Joni’s Jazz

Di chi è questa voce?

  • Ieri
  • 15 min
  • Franco Fabbri
  • jonimitchell.com
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A nove anni Joni Mitchell fu colpita dalla poliomielite, che le lasciò come conseguenza un indebolimento della mano sinistra. Imparò ugualmente a suonare la chitarra, ma non potendo sostenere diteggiature impegnative trovò il modo di accordare lo strumento in modo da fare sì che senza premere tasti le corde vuote producessero un accordo. Sono le accordature che si chiamano “aperte”, o “open”. Aggiungendo una o due dita quell’accordo si modifica, si arricchisce, spesso in modi che non si possono ottenere con l’accordatura standard. La ricerca di un’accordatura aperta divenne per la cantautrice canadese il primo passo per comporre una canzone.

Alla fine degli anni Sessanta molti chitarristi rock e folk lavoravano in modo simile (da Stephen Stills a Neil Young, da Nick Drake a Richard Thompson). Si pensa che l’uso di quelle accordature e degli accordi estesi che ne venivano fuori facilitò un avvicinamento di Mitchell al jazz, che ha lasciato molte testimonianze nella sua carriera.

Joni’s Jazz è un album quadruplo (su cd) o ottuplo (su lp) che raccoglie sessantuno canzoni, provenienti da quasi tutti gli album (tranne due) pubblicati da Mitchell, scelte per rappresentare le diverse modalità con cui la canadese si è avvicinata al jazz, a volte anche come compositrice, a volte solo come cantante. È stupefacente, ad esempio, la cover di “Stormy Weather” di Arlen, un classico di Tin Pan Alley degli anni Trenta, registrata con un’orchestra di sessantasei elementi per un album fuori commercio del 1998, dove Mitchell si cala nel personaggio e nella voce di una delle cantanti jazz storiche, ed è quasi irriconoscibile. Riconoscibilissima invece, è inevitabile, nella versione di “Good Bye Pork Pie Hat” – il brano che Charles Mingus compose per la morte di Lester Young e al quale Joni Mitchell aggiunse un proprio testo – registrata proprio per Mingus, un lavoro concepito inizialmente insieme al famoso contrabbassista. Un album che più jazz di così non si può (e che fu il meno venduto di tutta la storia discografica di Mitchell…). Nella raccolta è presente una versione dal vivo, con Pat Metheny (chitarra), Lyle Mays (tastiere), Michael Brecker (sax), Jaco Pastorius (basso) e Don Alias (percussioni), essendo assenti Herbie Hancock, Wayne Shorter e Peter Erskine, che erano nella formazione dell’album in studio.

Se il jazz è spesso definito (mi sia perdonata la tautologia) come la musica suonata dai jazzisti, molti sono presenti nelle tracce della raccolta, e di quali jazzisti si tratti è utile per capire a quale jazz Mitchell si sia sentita vicina. Peter Erskine, che fu al fianco di Miles Davis come altri degli accompagnatori di Mitchell, figura nell’organico di “Trouble Man”, cover di un brano di Marvin Gaye, in una produzione intestata a Kyle Eastwood, contrabbassista, autore e figlio di Clint, per i cui film ha composto molte colonne sonore. Joni’s Jazz è una bella raccolta, che ha l’unico difetto di ospitare solo tracce già presenti nella discografia ufficiale, mentre altro materiale interessante è uscito su bootleg.

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