Nato nel 1906 a Joal, a sud di Dakar, in una famiglia di proprietari terrieri, Léopold Senghor, che si meritò il soprannome Sédar, “colui che non può essere umiliato”, fu uno dei grandi padri spirituali dell’Africa e l’uomo del Senegal libero, di cui fu presidente dal 1960 al 1980. Fu un uomo politico illuminato e un intellettuale raffinato, il primo africano a sedere come membro all’Académie Française, ma Senghor si sentiva soprattutto poeta, poeta dell’identità nera, e tale fu riconosciuto dal mondo intero. Anche se ammise che se non avesse avuto l’impegno pubblico che gli era toccato in sorte, la sua “poesia sarebbe stata meno impegnata, certamente più gratuita”. Fra le sue raccolte poetiche pubblicate in italiano ricordiamo quella d’esordio nel 1945, “Canti d’ombra” (Passigli 2000), e “Notte d’Africa, mia notte nera” (L’Harmattan Italia, 2004). A dieci anni dalla sua scomparsa (il 20 dicembre del 2001 all’età di 95 anni), lo ricordiamo con Anna Maria Gentili, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi Afroasiatici all’Università di Bologna (fra i suoi volumi “Il leone e il cacciatore. Storia dell’Africa subsahariana”, pubblicato da Carocci); con Iolanda Pensa, che ne ha studiato la politica culturale, e con Demba Djeng, che ci porta la sua testimonianza diretta di senegalese.

Senghor, presidente-poeta
Laser 21.12.2011, 01:00
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