La pratica di terminare un brano registrato abbassando progressivamente il volume si diffonde a partire dagli anni Cinquanta; allora era già un espediente comune per abbreviare una parte di una trasmissione radiofonica. La premessa tecnologica necessaria era l'elettrificazione del segnale acustico: prima di allora (metà degli anni Venti) l’unico modo di “sfumare” sarebbe stato quello di allontanare il fonografo o lo strumento. La dissolvenza nella discografia serviva anche a far rientrare la durata di un pezzo nei limiti dei supporti commerciali: prima i 78 giri, poi i 45 giri. Ma da una decina di anni le dissolvenze hanno cominciato a scomparire. Secondo alcuni questo è il risultato della “cultura dello skip”, fin dalla metà degli anni Ottanta.
Con gli iPod prima e con lo streaming in seguito, la pratica diventa sempre più diffusa. Alla fine, la cultura dello skip è all'origine anche della progressiva abbreviazione delle canzoni, dai quattro minuti e oltre di vent'anni fa ai meno di tre attuali.
Claudio Farinone e Giovanni Conti approfondiranno le logiche di questo cambiamento assieme al musicologo Franco Fabbri e al musicista e discografico Claudio Carboni.
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