Dossier

L’anacoreta, il maratoneta

Cormac McCarthy e l’etica dell’indifferenza

  • 23 November 2022, 08:18
  • 4 October 2023, 08:17
  • LETTERATURA
  • CULTURA
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Di: Marco Alloni

Al di là del valore letterario delle sue opere, Cormac McCarthy è stato il raro custode di un patrimonio desueto: la capacità di negarsi. A differenza di Salinger, che nel negare se stesso al mondo ha anche cessato di scrivere, McCarthy non ha però scelto il silenzio ma l’eloquenza della solitudine, la solitudine della prolificità, producendo capolavori su cui si è misurata la critica per oltre mezzo secolo – su tutti ricordiamo Suttree del 1979 – ma che non testimoniano soltanto una penna e una mente, un cuore e uno stile, bensì quella che vorremmo chiamare la quintessenziale etica dell’indifferenza.

Baricco racconta McCarthy

Di che si tratta? Di semplice misantropia? Di riottosità ad accogliere la necessità del confronto mondano? O piuttosto di una sorta di “talebanesimo” della discrezione? Probabilmente in nessuna di queste etichette ricade il senso della sua etica dell’indifferenza, essendo in prima istanza quest’ultima connotata dalla disposizione filosofica, più etica che caratteriale, a riconoscere nella scrittura un a sé che a rigore non dovrebbe scendere a patti con nessuna delle condizioni della cosiddetta mondanità.

Si tratta di un atteggiamento a cui si può guardare con sospetto, magari indovinandovi le tracce di un certo snobismo. Ma che nel cerchio dello specifico letterario acquista un significato e un valore che mettono a nudo tutto ciò che il contemporaneo ha progressivamente sommerso sotto l’onda lunga del presenzialismo, dell’opinionismo e della tuttologia. Laddove il mondo letterario contemporaneo, senza distinzione tra latitudini e culture, impone sempre più il paradosso e dello scrittore-factotum, laddove il mondo del cosiddetto “mercato editoriale” si aspetta che lo scrittore sia a un tempo promotore di se stesso e presenzialista à tout prix, McCarthy sceglie infatti per sé l’etica dell’indifferenza e l’arte della negazione, ribadendo dal proprio confino in Nuovo Messico che uno scrittore è la sua opera e nient’altro. Soprattutto se la sua opera rientra tra le vette della produzione americana insieme a quella di Faulkner, DeLillo e Roth.

Possiamo dargli torto? Certo che possiamo. E l’ottemperanza ai dettami del contemporaneo, in un certo senso, impone che gli si dia torto. Poiché il refrain della “macchina capitalistica” questo ingiunge ai suoi adepti: “I tempi sono cambiati, oggi bisogna sapersi vendere, aggiungersi alla propria opera, non basta produrla”. Ma non dimentichiamo che se è facile e à la page, di moda e realistico dargli torto, come scrittori e come letterati abbiamo anche il dovere di dargli ragione.

Perché ciò che vogliono i tempi, a ben vedere, non conta quasi nulla. Rispetto alla Storia con la S maiuscola, rispetto alla Storia della letteratura con la S maiuscola, sono aspettative fasulle e transeunti. Tra cento anni i suoi libri rimarranno infatti a parlare di sé come perle dell’epica western – si pensi a La strada o a Non è un paese per vecchi – mentre le salme degli attuali auto-promotori non sapranno probabilmente neppure rammentare in quale antro del tempo sia finita la loro opera.

Non si tratta d’altra parte di un compiaciuto ammiccamento all’anticonformismo. Nell’atteggiamento di McCarthy, nella sua etica dell’indifferenza, di è dispiegata semmai la profonda consapevolezza che il limite più raccapricciante del contemporaneo è la sua sudditanza al presente, la sua coercizione alle strettoie del presente. Attitudini socio-mondane che sembrano pagare sul piano dell’immediatezza, come sappiamo, ma che purtroppo non valgono per la vera letteratura, il cui metro di misura non sono i mesi o gli anni ma appunto i secoli.

Come diceva Tabucchi, riferendosi a certi successi editoriali occasionali: “Sui 100 metri vincono loro, ma sulla lunga distanza no. La letteratura è un maratoneta e un maratoneta non deve competere sui 100 metri”. Ecco, McCarthy è stato un maratoneta che ha osservato il traguardo dalle vette solitarie del suo retiro americano.

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