La letteratura di taglio accademico sulla canzone italiana sta crescendo in modo esponenziale negli ultimi anni, grazie all’acquisita consapevolezza da parte di una nuova generazione di studiosi e alla diffusione di metodologie di analisi radicate a livello internazionale, che confluiscono nella galassia dei popular music studies. Crescono soprattutto gli studi su singole figure che hanno lasciato il segno, sia presso la critica sia presso il pubblico (De Andrè per primo) e hanno ancora molto da dire dopo sessant’anni di carriera.
È questo il caso di Mina, la cui reputazione nel mondo scientifico ha travalicato i confini nazionali per attirare l’interesse di ricercatori come l’inglese Rachel Haworth, fra le maggiori studiose dell’artista. Il suo “The Many Meanings of Mina” (Intellect) esplora le varie sfaccettature della più amata star italiana, da tempo naturalizzata svizzera, per ricostruire la complessa trama che ha portato a creare il mito.
E dunque: non solo i dischi, ma le copertine, i musicarelli, il gossip, la TV, i Caroselli e il ruolo dei fan nel compensare un’assenza dalle scene che ne ha amplificato la natura auratica. Non una semplice biografia, ce ne sono già tante, ma un libro che anzitutto permette a un’audience internazionale di familiarizzare con un’artista il cui impatto sul mercato e la società italiana non hanno paragoni con altri. In secondo luogo, rende giustizia a una voce meritevole di essere inclusa fra le grandi del Novecento accanto a quelle di Aretha Franklin, Ella Fitzgerald e poche altre, offrendosi come “case study” dalle caratteristiche uniche per la capacità di intervenire su diversi media e dialogare con il pubblico anche se nascosta dietro una silhouette, un brand.