La vendita di un esemplare felino di specie rarissima frutta ai bracconieri fino a 70'000 dollari. Ed è così, cacciando, braccando e trafficando i leopardi arabi verso altri Paesi vicini che al-Qaeda dello Yemen acquisisce fondi e finanzia la sua sostenibilità locale.
Lo denuncia il principe Ali al-Fadhli, uno degli ultimi rappresentanti di una nobiltà tribale che ha fatto le valigie dai Paesi del Medio Oriente negli anni Settanta, prima che arrivassero i gruppi terroristici (c’è lo Yemen, ma basti pensare anche alle sorti della nobiltà locale in Iran e Afghanistan).
Il principe lancia il suo messaggio alla comunità internazionale dal Cairo, in Egitto, dove risiede, ma va più a fondo: si chiede perché una cinquantina di questi esemplari oggi si trovano in gabbie negli Emirati Arabi Uniti. Chi li ha portati lì, chi li ha comprati? Considerando che la specie è protetta dal 1996 e che solo più di dieci anni fa se ne contavano 200 esemplari, l’allarme da lanciare c’è.
I felini vengono trafficati dal governatorato di al-Bayda e Abyan, zona di naturale rifugio dei felini, tradizionalmente roccaforti di al-Qaeda nello Yemen, e trafficati dal porto di Aden, verso altre destinazioni del Golfo. Finalità: diventare i “gattoni” da compagnia nei giardini di ricchi magnati locali che spendono miliardi per averli.
Il principe spiega la dinamica e dice: “Tutto questo deve essere impedito ma anche per fermare l’arricchimento delle gang locali e delle organizzazioni terroristiche: basterebbe congelare i conti, e sanzionare individui sospetti e congelare i conti dei compratori di questi animali, per privare al-Qaeda di una cospicua fonte di guadagno”. Il messaggio è stato lanciato, segno tangibile che con le guerre, non sono solo gli esseri umani a perderci e a soffrire, ma anche gli animali.