Svizzera

Il prete minacciato di morte: “Il Papa mi sostiene”

Attaccato per aver denunciato gli insabbiamenti degli abusi nella Chiesa svizzera, accusato di opportunismo, l’ex vicario generale Nicolas Betticher racconta la sua versione

  • 12 novembre 2023, 18:20
  • 12 novembre 2023, 18:49

SDS 18.00 del 12.11.23 Intervista Driussi a Betticher

RSI Svizzera 12.11.2023, 18:49

  • Tipress
Di: Gian Paolo Driussi/RSI Info

Minacciato di morte dopo aver denunciato in Vaticano il presunto insabbiamento di diversi abusi nella Chiesa cattolica svizzera da parte di alcuni vescovi (quattro dei quali attualmente in carica). Accusato da una vittima di essere un manipolatore, di averlo fatto per opportunismo quando lui -a suo tempo- non aveva osato parlare quando avrebbe potuto farlo. Nicolas Betticher, l’ex vicario generale della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo ed ex portavoce della Conferenza dei vescovi svizzeri, si racconta ai microfoni della RSI. Betticher - attualmente parroco a Berna- espone la sua versione: i giornali che han travisato i fatti, le accuse ingiuste nei suoi confronti, il Papa che lo ha incoraggiato ad andare avanti.

Nicolas Betticher, cosa l’ha spinta a scrivere l’ormai famosa lettera di denuncia?

“La Conferenza dei Vescovi svizzeri ha deciso di fare un’analisi di tutti gli abusi commessi negli ultimi 70 anni. L’incarico è stato affidato a una commissione, a Zurigo, che mi ha interrogato. Ho detto tutto quel che sapevo e tutto quel che ho vissuto in oltre trent’anni di vita ecclesiastica (anche perché la circostanza esulava dal segreto professionale). Secondo il diritto canonico quando si viene a conoscenza di aspetti critici riguardanti i vescovi, si è tenuti a informare la Santa sede. Ed è quel che ho fatto”.

Questa lettera ha chiamato in causa diversi vescovi (fra cui quattro ancora in carica), lei però non ha formulato accuse. Sono stati semmai i giornali ad aver così interpretato la sua decisione?

“Nella lettera metto sul tavolo delle informazioni. Non accuso nessuno e dopo ogni informazione pongo dei quesiti che possono aiutare ad approfondire i fatti esposti. Possono aiutare sia la commissione (destinataria della lettera, ndr.), sia Monsignor Bonnemain (e chi lo assisterà) dato che la Santa Sede (a cui ho mandato in copia la missiva) ha appunto incaricato il vescovo di Coira di verificare quanto scritto. Per arrivare alla verità: in favore o a carico delle persone citate”.

Nel frattempo, dopo essere uscito allo scoperto, lei ha ricevuto anche delle minacce di morte, di varia natura: ha trovato una bara di cartone davanti alla porta e le han scritto di bruciare all’inferno. Come sta vivendo questa situazione?

“Intanto ci tengo dire che ho ricevuto sostegno da molti fedeli da tutto il Paese con messaggi di solidarietà e che mi incoraggiano a tener duro. Le minacce di morte, grazie a Dio, in realtà sono poche, ma hanno fatto molto rumore sui media. In realtà non temo nulla. Forse, queste reazioni significano che le rivelazioni sono fondate”.

Ma se l’aspettava?

“Non proprio, ma non è la prima volta che mi succede. Era già capitato nel 2007, in occasione della mia ordinazione e la celebrazione si era purtroppo svolta con misure di protezione decise dalla polizia. È tutto molto triste ma è qualcosa che fa un po’ parte della mia vita. E sapendo che il buon Dio è con me, dormo molto bene”.

Ma perché? Lei dà fastidio a qualcuno o ha fatto arrabbiare qualcuno?

“Quando ero a Friburgo, in diocesi, c’erano parecchie gelosie. Ero quello che lavorava a diretto contatto col vescovo e che stava diventando prete senza passare dal seminario. Ci si chiedeva: “Perché per lui è più facile?” (in apparenza, ovviamente). E già lì ricevevo lettere anonime in cui mi si diceva che avrebbero impedito la mia ordinazione. Ma sono convinto che se c’è del vento contrario, si è sulla buona strada”.

Lei ha un passato (anche) politico, essendo stato collaboratore di un’ex consigliera federale (Ruth Metzler, ndr.). Sapeva che esponendosi in questo modo avrebbe suscitato delle reazioni?

“La cosa fondamentale è essere autentici e quando c’è un dovere di verità si ha l’obbligo di alzarsi e parlare. Quel che ho fatto in maggio (la lettera è datata 25 maggio, ndr), ripeto: è qualcosa che ero tenuto a fare secondo il diritto canonico. Non denunciare ma annunciare qualcosa alla Santa Sede. Che la lettera sia arrivata ai media è un’altra questione. Non so chi l’abbia mandata ma poco importa perché non è questo il problema”.

Paradossalmente lei è però anche stato accusato da ambienti vicini alle vittime di essere un manipolatore, qualcuno che si erge a salvatore della patria quando invece l’avrebbe fatto per calcolo strategico. Si è venuti a conoscenza della lettera poco prima della conferenza stampa dell’UNI di Zurigo e lei si sarebbe messo così in una posizione comoda quando invece anni fa, sempre a Friburgo, si sarebbe defilato pur essendo stato a conoscenza di un caso di abusi.

“Prima cosa: se c’è questa lettera è perché son stati i vescovi ad avere deciso un’inchiesta interna e non ho deciso io il calendario. Secondariamente: quando si dice che nel 2001 non ho denunciato un caso di cui ero venuto a conoscenza, è falso! L’episodio in questione riguarda un’audizione durante la quale io, in qualità di cancelliere, avevo scritto il verbale senza diritto di parola. E poi non era certo il caso di farlo sui media! Per contro più tardi, all’interno (e proprio perché vicino al vescovo) ho spesso espresso la mia inquietudine dicendo che occorreva agire, ma nessuno mi ha ascoltato. Quindi affermare oggi che non sono credibile, accusandomi di non aver saputo agire all’epoca, e di farlo ora per qualche strategia è solo malvagità e interpretazione sbagliata della verità”.

Quando è apparsa la lettera lei però ha detto (e lo ha fatto anche durante un’omelia): “Tutti abbiamo commesso degli errori, anche io”. Si riferiva a quell’episodio?

“Parlo effettivamente dell’inizio degli anni 2000, riferendomi al caso di un cappuccino (vicenda ormai nota in tutta la Svizzera). Ed è vero che il sistema della Chiesa universale non era assolutamente preparato a questo genere di cose. Quindi abbiamo sbagliato tutti ma perché mancavano basi legali e procedure. Fra il 2001 e il 2004 chiesi più volte al mio vescovo: “Ma cosa facciamo se ci vengono rivelati casi di abusi?”. Mi rispondeva: “Bisogna chiedere a Roma”. Nel 2008 saltarono fuori parecchi casi e sono appunto andato a Roma: mi è stato indicato di istituire una commissione esterna. L’ho fatto in un mese, insieme col vescovo e da quel momento tutto è stato trattato in modo indipendente. Ora che compaiono molti più casi abbiamo le basi legali e sappiamo cosa fare. Ma all’epoca li si nascondeva sotto il tappeto. Ed ecco cosa voglio ancora dire: se lo si faccia ancora oggi... questo sì che è grave!”.

Questa situazione non rischia suscitare, oltre a generalizzazioni nei confronti della Chiesa, sospetti oltremodo infondati o insicurezze fra gli stessi preti che magari vogliono abbracciare un bambino per affetto, sostegno, gesto sincero e non osano per paura di essere accusati di qualcosa?

“Ma assolutamente! Ed è proprio la direzione in cui non bisogna andare. Dobbiamo restare chi siamo, continuare a vivere normalmente. È quello che ci invita a fare il Vangelo ma anche il buon senso. Personalmente, quando qualcuno mi guarda di traverso perché vede la camicia col collo romano, non mi disturba. Quando mi si riconosce come sacerdote e mi si chiede di parlare... in genere succede invece qualcosa di bello. Quindi non bisogna avere paura ma occorre essere vigili come mai prima d’ora. Le malelingue sono ovunque, cercano di infangarci. Ma d’altra parte Gesù Cristo è stato il primo ad essere infangato”.

Lei rifarebbe tutto quanto o si pente di qualcosa?

“Il mercoledì dopo la pubblicazione dei contenuti della mia lettera, un confratello ha mostrato un articolo di giornale al Santo Padre. E questi gli ha chiesto: “Come si chiama questo prete?”. “Don Nicolas”, ha risposto. E il Santo Padre ha proseguito: “Dica a Don Nicolas di continuare a contribuire alla ricerca della verità. Se dovrà criticare dei vescovi, che lo faccia. Ha il mio sostegno”. Io mi sento comunque libero perché all’epoca denunciai dall’interno, rispettando il segreto professionale. E poi è il buon Dio che fa la storia. Non sono io, non è Lei, non sono i vescovi né i giudici. Qualche giorno fa il presidente della Confederazione Alain Berset ha pure incontrato il Papa e risulta che gli abbia chiesto di fare ordine il più velocemente possibile riguardo agli abusi nella Chiesa cattolica in Svizzera. C’è dunque una concatenazione di eventi che vanno tutti nella stessa direzione: cercare la verità, far luce per le vittime e per la credibilità della Chiesa”.

L’intervista integrale a Nicolas Betticher

RSI Svizzera 12.11.2023, 16:37

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