#lameteospiegata

Il favonio, l'asciugacapelli delle Alpi

Da dove arriva il nome föhn? Quand'è che soffia di più? È più frequente quello a nord o quello a sud delle Alpi? Chi è "l'urano più vecchio"? La nona puntata de #lameteospiegata

  • 1 marzo 2023, 10:44
  • 5 febbraio, 19:03
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In lontananza il muro del favonio, poi il "buco" sereno e la ripresa della nuvolosità sull'Altopiano

  • Stefano Zanini
Di: Dario Lanfranconi 

“Fischia il vento, urla la bufera…”. Sì, ma nel nostro caso solo la bufera è solo da una parte delle Alpi, mentre è dall’altra che fischia il vento. Qualcuno lo avrà forse intuito: nella nona puntata della serie RSINews #lameteospiegata in collaborazione con MeteoSvizzera, parleremo di favonio.

Per parlare di föhn (no, non dell’apparecchio per asciugare i capelli) – come è conosciuto nella maggior parte della Svizzera – questa volta ci faremo guidare da Cecilia Moretti, giovane meteorologa che ha conseguito un master con una tesi proprio sulla climatologia del favonio, e dalla lunga esperienza di Stefano Zanini, pure lui meteorologo con alle spalle anche una lunga permanenza da previsore a Nord delle Alpi, dove questo vento particolare è altrettanto conosciuto e ‘chiacchierato’ come sul versante sudalpino, se non di più.

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Vento e cieli azzurri

  • pixabay

Che cos’è il favonio

Sarà scontato, ma la prima cosa da dire è certamente che il favonio è un tipo di vento: “Si può partire dalla definizione dell'Organizzazione Mondiale di Meteorologia, che definisce il favonio come un vento di caduta che si verifica generalmente sul versante sottovento di una catena montuosa a causa della discesa di aria più calda e più secca. Per capirci, nel caso del favonio che colpisce da noi, quello che soffia da nord, il versante sottovento è proprio quello del Sud delle Alpi dove si verifica il favonio, quello sopravento è invece da dove arriva la corrente, il Nord delle Alpi. Si tratta però di una definizione generale che non sempre è così corretta, perché parlare di discesa di aria più calda è un po’ fuorviante. Infatti se pensiamo al nostro caso, sul versante sudalpino, questo vento da nord può anche essere percepito come un vento freddo, perché dipende dalla temperatura di partenza della massa d'aria. È vero che spesso è più caldo, ma non vuol dire che venga sempre percepito così”.

Come, dove e perché si forma il favonio

Per avere dei fenomeni di favonio sono diversi gli elementi che devono essere presenti: “Prima di tutto ovviamente ci deve essere una catena montuosa e questa deve essere attraversata trasversalmente, perpendicolarmente da forti correnti. Per questo viene definito anche vento di caduta: si verifica oltre una catena montuosa e scende per le vallate. Di norma questo tipo di vento ha poi un’umidità relativa piuttosto bassa e delle temperature più alte rispetto a quelle di partenza, quando l’aria si trova oltre la catena montuosa prima di attraversarla. C’è poi sempre una componente sinottica (la condizione atmosferica su larga scala in un dato momento), ad esempio con il favonio alpino, deve essere presente una zona di alta pressione da una parte della catena montuosa e dall'altra parte una zona di bassa pressione… in questo modo, semplificando all’osso, si creano delle correnti che soffiano dall'alta pressione verso la bassa pressione. In questo senso noi parliamo di gradiente di pressione tra un versante e l’altro delle Alpi. Questo gradiente può anche formarsi quando abbiamo due masse d'aria con temperature diverse. La densità della massa d’aria cambia infatti con il variare della temperatura e di conseguenza anche la pressione è diversa: è la componente idrostatica che ogni tanto viene citata, che si può aggiungere a quella sinottica. Di norma dalla parte dove c’è l’aria più fredda la pressione è più alta e automaticamente si creano queste correnti che cercano sempre di compensare la differenza di pressione, muovendosi verso la zona con la pressione più bassa. Da qui nascono le correnti favoniche.”

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Lo schema del favonio da nord, quello che conosciamo sul versante sudalpino

  • Meteosvizzera

Ci sono poi due altri fattori da considerare e che spesso si osservano: il già citato riscaldamento dell’aria e le precipitazioni dovute allo sbarramento, il cosiddetto effetto Stau. “Le teorie sono diverse, ma diciamo che quella classica – anche se non spiega in modo del tutto corretto il fenomeno – può essere utile per una comprensione generale: abbiamo le correnti che si avvicinano alla catena alpina, con una massa d’aria che ha una determinata temperatura e una determinata quantità di umidità contenuta. Questa massa d'aria, incontrando l’ostacolo della catena alpina, è forzata a salire e salendo tende a espandersi, avendo una pressione che diminuisce con la quota, e questo fa sì che la massa d’aria si raffreddi e l’umidità condensi. Dalla condensazione possono poi nascere spesso le precipitazioni date dallo sbarramento. Automaticamente una parte del vapore acqueo contenuto nella massa d'aria va perso a seguito della condensazione e delle precipitazioni. Oltre la catena alpina quest'aria ‘asciugata’ – diciamo – scende poi sull’altro versante, riscaldandosi secondo il gradiente adiabatico secco, un concetto che spiegheremo più avanti, ma che permette di raggiungere una temperatura più alta rispetto a quella di partenza. Nelle Alpi, ed in particolar modo sulle pianure nordalpine, abbiamo poi infine anche un altro aspetto da considerare: la presenza regolare nei bassi strati di quelli che chiamiamo laghi di aria fredda: anche in questo caso le dinamiche sono le stesse e il vento prende il nome di favonio, ma l’aria non arriva dalle quote più basse ma ‘scivola’ e scorre sopra l’aria fredda. Con la presenza del lago di aria fredda dal lato sopravento si avrà una quota di partenza della massa d’aria più elevata e un arrivo oltre la catena montuosa a quote più basse, in seguito le dinamiche sono sempre le stesse, con un pacchetto di aria che scendendo lungo le vallate si riscalda per compressione adiabatica (vedi dopo).”.

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Lo schema del favonio da sud, quello che poi soffia sul versante nordalpino

  • MeteoSvizzera

Le consegeguenze del favonio e i fenomeni associati

Dell’effetto sbarramento sul versante sopravento, probabilmente uno degli effetti più importanti associati al favonio, abbiamo già detto, ma qualcosa è utile aggiungere: “Solitamente le precipitazioni sono più intense a ridosso della catena alpina e, a volte, quando il fenomeno è piuttosto intenso, possono spingersi insieme alla nuvolosità in parte anche oltre lo spartiacque nord-sud, il cosiddetto muro del favonio, anche perché non c’è una separazione così netta. Nella zona di sbarramento abbiamo inoltre la maggiore nuvolosità, mentre più ci si allontana dalla catena alpina minore è lo spessore dello strato nuvoloso. Oltre il muro del favonio invece, quindi dalla parte dove soffia il vento di caduta, si possono formare delle nubi lenticolari, chiamate così perché hanno una tipica forma che assomiglia a una lente. Queste nubi si formano per un’interazione tra le correnti che superano la montagna, e che iniziano ad avere un movimento ondulatorio dato dall’impulso che ricevono superando le Alpi, con dei piccoli movimenti verticali della massa d’aria stessa. Di solito una volta createsi rimangono stazionarie per tutta la durata dell’evento di föhn. Andando ancora oltre troviamo poi le ampie schiarite, date dalla discesa dell’aria più calda e secca che dissolve la nuvolosità e produce queste zone di cielo limpido, chiamata solitamente la finestra del favonio”.

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Nubi lenticolari prodotte dal favonio fotografate in Valle Bedretto

  • M. Fabbro

Il favonio ha poi anche un influsso diretto su un altro fenomeno che abbiamo già trattato ne #lameteospiegata, la neve: “Ci sono due aspetti che si possono citare in presenza di favonio: prima di tutto il pericolo di valanghe, che può aumentare notevolmente a causa del favonio in corrispondenza della zona di sbarramento – e in generale del vento – che va a creare gli accumuli di neve ventata, spesso instabili. L’altra conseguenza sul manto nevoso è la capacità del favonio di ‘portarsi via’ la neve…essendo un vento piuttosto secco e in parte riscaldato, sotto il suo soffio la neve si scioglie infatti molto più velocemente, tanto che a nord delle Alpi il föhn viene anche chiamato ‘Schneefresser’, mangiatore di neve… più eloquente di così!”.

Per capirne di più: il gradiente adiabatico secco e quello saturo

Per comprendere questi due termini all’apparenza complessi e criptici, serve fare un passo indietro: “Partiamo dal gradiente termico verticale, che molto semplicemente si riferisce alla variazione di temperatura di un pacchetto di aria al variare della quota. Noi parliamo spesso di pacchetti di aria, ecco quando uno di questi pacchetti si alza di quota, come abbiamo visto prima a causa dell’espansione dovuta al calo della pressione, si raffredda. Viceversa, un pacchetto di aria che scende di quota aumenta la pressione, quindi si comprime e si riscalda (compressione adiabatica). Questo è quanto avviene in parole povere, mentre il termine adiabatico si riferisce a una trasformazione in cui non c'è nessuno scambio di calore con l'ambiente. Nella termodinamica per definire questi processi è stata quindi stabilita una correlazione tra la pressione, la temperatura e il volume che segue quindi la legge dei gas ideali (es. aria che sale, pressione diminuisce, volume aumenta e temperatura diminuisce). E qui arriviamo ai nostri due termini. Il gradiente adiabatico secco, che descrive appunto una variazione di temperatura di un pacchetto d’aria nel suo moto verticale, senza altri influssi, ha un valore di 0,976 gradi celsius ogni 100 metri di dislivello… insomma, è quel grado ogni cento metri di discesa che spesso si sente associare al favonio in caduta. Allo stesso tempo però l’aria non sempre è secca e può contenere dell’umidità: in questo caso la variazione di temperatura con la quota non corrisponde più al valore appena citato, bisogna invece affidarsi alla correlazione del gradiente adiabitico saturo. Nel movimento verticale di un pacchetto di aria che contiene umidità, quindi vapore acqueo, c’è comunque un raffreddamento alzandosi di quota (o riscaldamento abbassandosi), ma ha appunto un’intensità differente e non lineare come nel caso del secco. Abbiamo pertanto una variazione che cambia più o meno velocemente con il variare della quota, perché non bisogna dimenticare – come già visto nelle puntate precedenti, ndr – che l'aria fredda può contenere meno vapore acqueo rispetto all'aria più calda. Il valore stabilito è di 0,6 gradi ogni 100 metri di quota, ma è una sorta di media, in quanto con il diminuire della temperatura e l’aumento della quota il valore aumenta e si avvicina sempre più al gradiente adiabatico secco, proprio perché l’aria raffreddandosi conterrà meno umidità. Va inoltre considerato che la condensazione del vapore acqueo è un passaggio di stato che libera calore, il calore latente di condensazione, e questo effetto va a rallentare il raffreddamento del pacchetto. Per questo il valore indicato è solo quello medio”.

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Per chi vuole saperne di più (schema in inglese): le due diverse teorie, quella svizzera e quella austriaca, sulla formazione del favonio

Un po’ di etimologia: dal favonius romano all’asciugacapelli

Come sempre, sviscerando i temi fino all’osso, non può mancare anche qualche curiosità e questa volta visti i nomi diversi affibiati al fenomeno, ci buttiamo sull’etimologia, chiedendo una scampagnata “fuori settore” a Cecilia Moretti: “Ammetto che mi sono affidata al vocabolario… Possiamo dire che favonio deriva dal latino favonius, che significa far crescere. E pare che sia il nome con cui i romani chiamavano il vento di ponente, quindi quello che arriva da dove sorge il sole. È inoltre interessante il fatto che questa etimologia derivi proprio dal presupposto che questo vento, come dicevamo generalmente caldo, favorisce lo svilupparsi dei germogli e delle vegetazione. Anche la nota derivazione tedesca föhn deriva dalla stessa radice… e quello che forse alcuni non sanno, ma che appare evidente vista la successione storica e la presenza del favonio da tempi immemori, è che è l’asciugacapelli ad aver preso il nome del vento, non certo il contrario.”

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Il muro del favonio visto dal Piz Beverin, nei Grigioni

  • Stefano Zanini

Un’ulteriore curiosità riguarda l’utilizzo italiano dei termini: nella vicina Italia infatti, a parte tra gli appassionati di meteorologia, nel linguaggio comune viene utilizzato quasi solo il termine tedesco, scritto nella forma estesa Foehn (senza umlaut per intenderci). Favonio è invece utilizzato prevalentemente da noi, nella Svizzera italiana.

Non solo Alpi: il favonio nelle altre catene montuose

Lo abbiamo spiegato in apertura: per avere il vento di caduta che noi chiamiamo favonio sono fondamentali due elementi base: una catena montuosa e delle correnti perpendicolari che l’attraversano (con pressioni differenti tra un lato e l’altro). Partendo da questo presupposto, e sposotandoci un po’ da ‘casa’, cosa si può dire sugli altri föhn sparsi nel mondo? “Ci sono diverse zone dove questi elementi sono presenti e si sviluppano quindi questi venti di caduta, che però come immaginabile prendono altri nomi. Possiamo citarne alcuni: ad esempio esiste un vento chiamato Zonda, che scende verso l'Argentina attraversando le Ande. Poi salendo di latitudine troviamo il Chinook, che dalle Montagne rocciose scende sulle grandi pianure nordamericane, ed è pure lui consosciuto come un vento ‘mangianeve’. Tornando nell’emisfero australe, anche nelle Alpi neozelandesi c’è una corrente che scende verso la città di Christchurch, chiamato semplicemente ‘The Nor’wester’, derivato dalla direzione nord-ovest che assume. O ancora, per citarne un altro non troppo distante, il Brickfielder, che scende dalla grande catena divisoria e si tuffa verso le coste del Nuovo Galles del Sud, in Australia. Infine, per citare un’esperienza vissuta in prima persona, mi ricordo di aver osservato una situazione simile nell'isola più grande delle Hawaii, dove pure sono presenti delle montagne vulcaniche molto alte e, anche in questo caso, si vede una netta distinzione tra una metà dell'isola molto più umida e l'altra metà dove l’aria secca in caduta rende tutto arido e secco”.

La natura che si adatta e la vegetazione “piegata”

Del rapporto del favonio con la flora qualcosa abbiamo già accennato, ovvero che la sua aria calda può favorire la germogliazione e la crescita vegetale. Ma c’è anche un altro aspetto curioso che riguarda proprio la vegetazione: “Trattandosi di un evento tipico della nostra zona, esiste anche una conseguente forma di adattamento, in particolare del bosco e delle piante in generale. Si può insomma dire che si sono adattate alla direzione del vento, posizionandosi e adattando la propria crescita in modo da poter resistere e in un certo senso assecondare la corrente. A parte episodi particolarmente violenti, gli alberi non vengono dunque danneggiati dal favonio, anche se forte. Al contrario ad esempio la nostra vegetazione a sud delle Alpi si trova molto più esposta ai venti di scirocco, che soffiano da sudest e sono decisamente meno frequenti. Con questo vento possono quindi bastare velocità anche non esagerate – soprattuto se confrontate a quelle del favonio – per provocare danni e crolli”.

Media record per il favonio

Il Quotidiano 05.02.2023, 19:00

Favonio ed esseri umani: dalla qualità dell’aria al mal di testa

Al di là dell’impatto climatico, il favonio ha anche una stretta relazione con l’essere umano, a partire dalla qualità dell’aria che respiriamo. E si parte con una buona notizia: “Il favonio tende in generale a spazzare via tutto quello che è inquinamento, polveri fini eccetera. E se dello scioglimento della neve abbiam già detto, ci sono anche altre conseguenze negative, in particolare per quanto riguarda la propagazione degli incendi, anche perché spesso, come si vedrà dopo con Stefano Zanini, il favonio può continuare a soffiare per giorni. Le forti raffiche possono inoltre provocare incidenti stradali. Si arriva poi al grande capitolo dell’impatto sulla salute delle persone: alcuni studi sono stati fatti, anche se è difficile avere una prova del rapporto causa/effetto, però sono state riportate delle correlazioni che hanno una certa rilevanza statistica. Oltre all’aumento degli incidenti stradali, viene anche citato un aumento della criminalità, ma il punto che forse più interessa al pubblico generale è il rapporto con il mal di testa. Non sono infatti poche le persone che lamentano il sopraggiungere di questo problema all’arrivo del föhn. In questo senso alcuni studi hanno indagato quale potesse essere un elemento preponderante ed è stato rilevato che con il favonio si verificano delle lievi oscillazioni della pressione atmosferica, che pare possano andare a influenzare l’attività mentale umana. Si tratta però come detto di correlazioni statistiche, non di rapporti causa-effetto”.

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La tipica finestra del favonio a Nord delle Alpi

  • Stefano Zanini

Climatologia: l’indice del favonio e il rapporto con il cambiamento climatico

Per parlare di climatologia e favonio è necessario innanzitutto saper identificare che cos’è favonio e cosa non lo è, un tema che Cecilia Moretti conosce molto bene: “Parliamo infatti dell’indice del favonio, un indicatore che ci permette di identificare questo vento partendo dalle misure effettuate alle stazioni al suolo. Ogni stazione ha un suo indice specifico, che viene calcolato partendo da una serie di parametri misurati in automatico dalla rete di stazioni SwissMetNet. Quindi in base alla velocità media del vento, le raffiche del vento, la direzione del vento, l'umidità relativa dell'aria e la temperatura potenziale, per ogni stazione – grazie a delle analisi statistiche – vengono definiti dei valori limite per ognuna di queste grandezze. Quando poi c'è un superamento del valore limite si può identificare automaticamente la presenza di favonio. Parte del lavoro che ho svolto per la mia tesi di master era proprio determinare questi valori limite per le stazioni al Sud delle Alpi, ed è importante farlo perché ci possono essere differenze importanti tra una e l’altra. Ad esempio una vallata alpina può essere orientata in modo che il favonio su una determinata stazione arrivi proprio da nord, mentre sul Piano di Magadino arriva più da da est o da ovest, per questo serve una calibrazione specifica dei valori limite. Ci serve poi anche una stazione in quota per definire più in generale la direzione del vento, per stabilire se si formerà favonio da sud o da nord, e questo lavoro per MeteoSvizzera lo svolgono i sensori che abbiamo sul Gütsch, sopra Andermatt. In questo modo identifichiamo il favonio in tempo reale e queste indicazioni sono consultabili sul nostro sito".

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La frequenza del favonio ad Altdorf dal 1864 al 2008: la frequenza è stabile

  • MeteoSvizzera

Grazie a questo importante lavoro di determinazione degli indici, associato alla grande banca dati di tutte le misure al suolo, è stato così possibile risalire anche agli eventi di favonio del passato: “Abbiamo pertanto delle informazioni importanti sulla climatologia del favonio sia a sud che a nord delle Alpi. Grazie a questi dati abbiamo ad esempio potuto stabilire la stagionalità del favonio, solitamente più presente in primavera, ma con un secondo picco in autunno, soprattuto per il föhn da sud, e con una frequenza più bassa in estate. L’analisi delle frequenze e delle intensità ha permesso inoltre di osservare una certa stabilità nel tempo del fenomeno, quindi per quanto riguarda il riscaldamento climatico non è possibile stabilire un’influenza accertata. In questo caso possiamo insomma dire che non c’è una relazione diretta con i cambiamenti climatici, anche perché si tratta di un evento che si verifica solo in presenza di determinate situazioni sinottiche”.

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La media delle ore di favonio nelle vallate alpine sui due versanti

  • MeteoSvizzera

Il favonio a sud delle Alpi, quando il vento soffia da nord

Sempre restando ancorati al nostro piccolo grande mondo alpino, passiamo ora a una caratterizzazione dei due diversi föhn che soffiano ‘cadendo’ dalle Alpi. E iniziamo da quello di casa nostra, il tanto famoso quanto spesso temuto vento da nord: “Bè chiaramente per averlo dobbiamo prima di tutto avere correnti da nord, che di norma si innescano quando abbiamo una zona di alta pressione sull'Europa atlantica occidentale e solitamente una zona di bassa pressione verso i Balcani. Questa configurazione sinottica fa sì che si inneschino le correnti da nord. Possiamo quindi immaginare il fluire verso le Alpi di questa massa d’aria fredda e umida, che arriva dalla zona del Mare del Nord…e poi succede quel che abbiamo visto prima, con lo sbarramento a nord delle Alpi e il favonio che scende sul versante sudalpino. In relazione al suo ‘fratello’ che soffia da sud, si può anche dire che le situazioni di sbarramento e le relative precipitazioni – in media – sono meno intense rispetto a quanto si producono sul versante sudalpino. Il nostro, quello da nord, è però in generale più frequente di quello da sud.

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Le ore medie di favonio alla stazione di Magadino tra il 2007 e il 2020: marzo e maggio sono i mesi con la maggiore frequenza

  • MeteoSvizzera

Il Favonio a nord delle Alpi, quando il vento soffia da sud

“Magari bisogna cominciare dicendo che di favonio ne esistono veramente tanti tipi. Diciamo che con il favonio classico, dove hai la corrente da sud che crea uno sbarramento sul versante sudalpino, con quindi precipitazioni al sud e una corrente sempre da sud fino ad alte quote, quest’aria poi si riversa sotto forma di favonio nelle vallate nordalpine. Rimanendo su questa tipologia ‘classica’, possiamo inoltre dire che il favonio da nord, quello che conosciamo a sud delle Alpi segue molto spesso – anche se non sempre – una perturbazione. Dopo il passaggio di una perturbazione ‘dietro’ arriva, anche se non per forza e non sempre, il vento da nord. Il favonio a nord delle Alpi, quello che soffia sud, al contrario tendenzialmente precede l’arrivo di una perturbazione. Se vogliamo vederla proprio in una delle configurazioni più classiche e da manuale: c’è una perturbazione che si avvicina dalla Francia, la corrente favonica a nord delle Alpi e le precipitazioni al sud. Poi la perturbazione avanza e a un certo punto arriva quella che in tedesco chiamano il ‘Föhnzusammenbruch’, ovvero la fine del favonio a nord. Parallelamente le precipitazioni iniziano poi al nord e terminano al sud. L’aumento di pressione a nord delle Alpi dà origine a sud al vento da nord. Questo è quello che si dice un passaggio completo, il caso classico insomma. In parole molto povere si potrebbe dire che spesso il favonio prima colpisce il nord delle Alpi, poi passa la perturbazione ed ecco infine il vento da nord sul nostro versante”.

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La stagionalità del favonio ad Altdorf: ii mesi "caldi" sono aprile e maggio

  • MeteoSvizzera

Va appunto però specificato che si tratta della configurazione da manuale, ma – come ci spiega ancora Zanini – la meteorologia è da vedere un po’ come la medicina: “Per una determinata patologia esistono innumerevoli varianti e decorsi diversi. Lo stesso vale per la meteorologia: questo è il caso classico, dopodiché ci possono essere tutta una serie di altri tipi di föhn particolari, come ad esempio il favonio nei bassi strati, che è un fenomeno che da noi spesso non crea nemmeno precipitazioni. C’è poi il favonio anticiclonale, o ancora il particolare Güllerföhn, o il Dimmerföhn, il Guggiföhn tipico dell’Oberland bernese, c’è il favonio estivo, … e mi fermo qua. Ci sono veramente parecchie tipologie, perché il favonio può avere caratteristiche molto variegate. Ma la configurazione classica resta quella citata prima, con le precipitazioni a sud, l’aria che le spinge almeno in parte oltre la cresta alpina e, più a nord, quello che si dice il muro del favonio, dove si vede appunto lo sbarramento della nuvolosità spinta da sud. Qui si forma spesso quella che è chiamata la Föhnfenster, la finestra del favonio: una striscia serena e secca che precede poi spesso altra nuvolosità che si estende verso l’Altopiano.

Il Favonio a sud e a nord delle Alpi, per chi è più importante?

Detto che il favonio è un vento di caduta che colpisce tanto a sud quanto a nord delle Alpi, che relazione ha con le persone sui due versanti, insomma viene percepito allo stesso modo? “Avendo passato tanto tempo a nord delle Alpi, e ragionando su questa domanda – che non ha una risposta univoca ed è più una mia interpretazione basata sull’esperienza – la prima cosa che mi viene da dire è che da noi, in Ticino come nei Grigioni, viviamo praticamente tutti nelle vallate alpine, quindi il vento da nord quando c'è, può arrivare dappertutto, è chiaro che è più frequente nell’Alto Ticino, ma è comunque qualcosa che tutti conoscono. Allo stesso modo però se ci spostiamo verso la Pianura Padana non è che tutti sappiano cosa sia il vento da nord, anche perché difficilmente lo sperimentano. Se invece vai a nord delle Alpi, nelle vallate alpine, come da noi il favonio c'è spesso, mentre sull’Altopiano decisamene meno. Eppure anche qui tutte le persone sanno benissimo cos’è il föhn… mi ricordo di commenti di zurighesi che guardando le Alpi in lontananza in giornate di ottima visibilità si lanciavano spesso nel commento ‘ooh hüüt isch föhnig’ (‘aah oggi soffia il favonio’ ndr), anche se magari in città non soffia un filo d’aria. Insomma, il fenomeno non è così frequente, ma lo si conosce meglio e lo si percepisce ovunque, anche più lontano dalla regione alpina. Allo stesso modo se invece vai per esempio a Lodi in prossimità di Milano a dire ‘ah oggi soffia il favonio’ vieni probabilmente guardato in maniera strana, è un fenomeno molto meno sentito e discusso.

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Le valli percorse dal favonio in Svizzera

  • MeteoSvizzera

Insomma, a nord c’è molta più vicinanza al favonio, forse anche perché in un certo qual modo lo ‘vedi’ molto di più: anch’io abitavo nell’Oberland zurighese e guardando verso le Alpi vedevo proprio il ‘buco’, la famosa finestra del favonio citata prima. È chiaro che in Ticino o nelle vallate del Grigioni italiano il tema è sentito, ma appunto il confronto con questa zona a nord delle Alpi si fermerebbe alle Prealpi nordalpine. Se vogliamo fare un confronto della percezione con l’Altopiano svizzero, dove è appunto comunque parecchio considerato, per correttezza morfologica dovremmo farlo con le zone lombarde di pianura – Zurigo con Vercelli per intenderci – dove invece è un fattore decisamente secondario. Anche perché proprio morfologicamente le differenze ci sono: la pianura padana è piatta, punto e stop. Al contrario l’Altopiano fa un po’ da tramite tra le pianure dell’Europa centrale e le Alpi, una sorta di catino con dei fenomeni più spesso influenzati dalla catena alpina, e il föhn può arrivare anche fin qui, seppur con meno forza”.

“L’urano più vecchio” e la localizzazione del favonio: dove soffia di più

“Dr ältischt Ürner chunnt, dr Feehn”, ‘oder’ “dr äutischt Wenger chunnt”. Questi due detti, il primo in dialetto urano, il secondo in quello dell’Oberland bernese (non ce ne vogliamo i patrizi di quelle zone per il tentativo di trascrizione), ci dicono già molto di dove il föhn colpisce maggiormente a nord delle Alpi. Entrambi si riferiscono al vento di caduta come al “cittadino” più antico della regione, proprio per rimarcare come ci sia sempre stato e che la sua presenza è importante, se non ingombrante. Tra le zone più toccate dal favonio da sud troviamo ovviamente la valle della Reuss urana, forse il luogo per eccellenza del favonio nordalpino. C’è poi il Basso Vallese, con il favonio del Gran San Bernardo, ma anche l’Alto Vallese in zona Visp con il vento in discesa dal Sempione. Un’altra zona molto colpita è la Haslital nell’Oberland bernese, con il Föhn che arriva dal Grimsel. Qui troviamo anche il Guggiföhn, molto localizzato nella regione della Jungfrau, ma che può produrre raffiche anche fino a 200-250 km/h e che in molti hanno forse sentito citare quando c’è la discesa libera del Lauberhorn, spesso infatti disturbata da questo vento che scende dalla Jungfraujoch attraversando il ghiacciaio del Guggi fino a Wengen. Nei Grigioni a ‘brillare’ è in particolare la Rheintal, la valle del Reno, soprattutto quella posteriore che scende da San Bernardino verso Hinterrhein, per poi proseguire per la val Schons fino a Coira e giungere infine oltra la regione di Sargans, nell’alta valle del Reno sangallese. Infine c’è anche Glarona, dove è però meno frequente perché la valle è molto stretta e profonda, e sono presenti più ostacoli intermedi. “Questo non vuol dire che in altre vallate non arrivi, ma nelle regioni più “classiche” è più frequente.

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La media delle ore di favonio e la loro distribuzione sull'anno ad Altdorf tra il 1991 e il 2020

  • MeteoSvizzera

Oltre al già citato Guggiföhn, tra i casi particolari, vale poi la pena citare anche il Dimmerföhn: “È quando piove contemporaneamente al favonio, quando in presenza di una situazione meteorologica particolare le precipitazioni da sud riescono a ‘sfondare’ nelle vallate nordalpine. Il termine è tanto per cambiare urano e in tedesco dimmen vuol dire oscurare, un po’ come con il ‘dimmer’ che ci permette in casa di regolare le luci. Dimmerföhn indica pertanto un ‘favonio scuro’, che è un po’ come la romanda ‘bise noire’ o ancora in Italia con la bora scura, entrambi termini per indicare il vento accompagnato dalla pioggia.

Dati e record, quando il föhn raggiunge i suoi limiti

Ormai dovrebbe essere cosa nota, la regione regina del favonio è certamente la Reusstal urana: “E non a caso: se si guarda tutto l’arco alpino, il posto dove la distanza tra sud e nord delle Alpi è più breve è proprio qui. Anche per questo nella storia si è fatto l’impossibile per voler passare dal Gottardo, perché è la linea più diretta tra nord e sud. E di questo se n’è accorto anche il favonio, difatti Altdorf – una delle stazioni di misura con più dati disponibili per il favonio – è una zona molto toccata e quindi anche studiata. Qui, a partire dal 1967, la raffica più forte di föhn mai registrata ha toccato i 157 km/h nel 1981. Le stazioni permettono di stabilire anche i periodi più lunghi consecutivi in cui ha soffiato il föhn: “Per fare questa statistica possiamo partire solo dal 1981, in quanto prima non c’era la misurazione ogni 10 minuti come l’abbiamo oggi e quindi non si poteva stabilire la continuità assoluta. Bè, in questo senso il periodo ininterrotto più lungo lo troviamo sempre ad Altdorf con 138 ore nell’aprile 1993, quasi sette giorni senza soluzione di continuità, seguito dalle 109 ore registrate a novembre 2016. Come frequenza annuale sempre ad Altdorf siamo intorno ai 60 giorni all’anno con il favonio, dunque circa uno su sei”. C’è infine poi il discorso della stagionalità: “Il favonio non soffia con la stessa forza e la stessa frequenza tutto l’anno, anzi. Sempre prendendo Altdorf come riferimento, sono i mesi di aprile e maggio a mettersi in evidenza. Il motivo è presto detto: di norma – e sottolineo di norma visto ad esempio lo scorso anno - in questi mesi a sud delle Alpi dovremmo avere il picco delle precipitazioni primaverile, testimoniato anche da detti come ‘aprile ogni goccia è un barile’… ecco in questi casi, da noi piove, sulle Alpi c’è lo sbarramento e di là, a nord, soffia il föhn”.

Prevedere il favonio, un compito tutt’altro che facile

“Iniziamo subito con il dire – spiega Zanini – che il favonio è quello che si dice un fenomeno complesso e tutt’altro che facile da prevedere nei suoi dettagli”. La previsione di questo vento particolare si basa infatti su diversi elementi: “Semplificando il più possibile: si guarda prima di tutto il vento a diverse quote sopra le Alpi, che direzione ha e quali velocità raggiunge il vento. Un altro parametro importante è la pressione, in particolare la sua distribuzione al suolo attorno alle Alpi, ‘allargandosi pure un pochino’, e ancora di più le variazioni della pressione in queste zone. Queste possono infatti dare origine a delle notevoli variazioni nella differenza di pressione fra Nord e Sud delle Alpi, non solo al suolo, ma anche a quote fino a circa 3000 metri. Esistono dei “check” basati su degli algoritmi che combinano tutti questi fattori, come quello di Widmer sviluppato nella seconda metà degli anni ’60. Tutti questi elementi vengono poi contestualizzati con la situazione sinottica che abbiamo davanti (condizioni atmosferiche in un dato momento): se sta arrivando una perturbazione, quanto vento in quota c’è e come cambia, … Non da ultimo sussite però un’ulteriore difficoltà: “Tante volte si riesce ad arrivare abbastanza bene a capire che è presente una situazione favonica e che il vento ci sarà, ben altra cosa è capire se questo föhn arriverà fino ad Altdorf o si fermerà a Silenen, se arriverà fino Zugo, ecc. Qui entrano in gioco altri fattori, come la stratificazione della massa d'aria nelle valli e come questa si modifica nel corso della giornata. Ad esempio nella stagione estiva il favonio fatica meno a scendere nelle valli perché c'è tipicamente meno aria fredda e pesante nei bassi strati, aria altrimenti più difficile da scalzare. Oppure ancora se ci pioverà ‘dentro’ al favonio… insomma ci sono ancora tutta una serie di ragionamenti e variabili ulteriori da considerare per arrivare alla previsione. Ad ogni modo la stabilità dell’aria nei bassi strati è fondamentale per sapere fin dove arriverà il favonio anche al Sud, se scenderà fino a Locarno o si fermerà a Cevio. Un esempio calzante in questo senso è la tempesta Lothar: tra il 25 e il 26 dicembre 1999 ci fu un fortissimo e storico calo di pressione a nord delle Alpi, mentre da noi a sud delle Alpi questo crollo causò un ‘risucchio’ di aria tale che incontrate le Alpi ha dato origine a sbarramento, e infatti la sera di Natale nevicava in Ticino. A nord questo possente calo di pressione ha invece ‘aspirato’ l’aria fredda dalle Alpi generando un favonio che ha raggiunto l’Altopiano… È un caso molto particolare, ma utile a spiegare l’importanza dei cambiamenti di pressione in meteorologia. In previsione, infine, per stabilire se davvero di favonio davvero si tratta, si tiene conto anche dell’umidità con l’indice del favonio spiegato prima da Cecilia Moretti”.

Emergenza sanitaria e tempesta di favonio

Capanne Alpine 08.01.2023, 21:10

Una vita da previsore (e appassionato): curiosità e aneddoti sul favonio

Per chiudere l’ampio giro d’orizzonti sul favonio, e vista la lunga esperienza da previsore tanto a nord quanto a sud delle Alpi, già emersa nel contributo sulla nebbia e tra le righe anche qui sopra, chiediamo a Stefano Zanini se gli vengono in mente aneddoti o curiosità riferite proprio al föhn. “Basandoci su quanto appena detto sulla difficoltà della previsione del favonio, tra gli aneddoti vanno certo annoverate le previsione sbagliate” – dice ridendo. “In particolare è sempre stato difficile prevedere quando finiva il favonio, il già citato Zusammenbruch, perché come visto al nord delle Alpi la fine del favonio vuol dire spesso l’inizio delle precipitazioni, e sbagliare di alcune ore la fine può fare una notevole differenza. Al di là delle previsioni possiamo però anche dire che il favonio è un fenomeno sicuramente interessante per chi è appassionato di osservazioni, ci sono dei punti considerati ideali per vedere dal vivo dinamiche ed effetti che abbiamo spiegato finora. Uno di questi luoghi suggestivi è sicuramente il porto di Brunnen: qui quando c’è una tempesta di favonio – personalmente ci sono stato alcune volte – le onde del lago dei Quattro Cantoni fanno degli spruzzi impressionanti… bisogna vestirsi bene, perché l’acqua arriva a ‘lavare’ tutto il lungolago di Brunnen, un fenomeno affascinante. A volte il favonio, in particolare nel semestre invernale, lo si può avere in contemporanea alle nebbie persistenti sull’Altopiano, uno strato di aria fredda più pesante che d’inverno praticamente non si dissolve e il favonio, più leggero, scorre sopra. Questo fenomeno è spesso ben visibile tra Steinen e Arth-Goldau, nel canton Svitto, all’altezza della località Bernerhöchi, in prossimità del confine tra Prealpi e Altopiano, dove se si ha fortuna si può osservare come il favonio vorrebbe e spazzar via la nebbia, una vera e propria battaglia con la nuvolosità che al contrario vorrebbe dirigersi verso le Alpi.

Il vento finisce con fare in parte a brandelli la nebbia, facendo girare e rigirare questi pezzetti per aria… è uno spettacolo, si potrebbe restare lì ore ad osservarlo”. Stefano a volte si diletta anche con delle riprese time-lapse, come in questo caso ripreso dal Piz Beverin guardando verso il passo dello Spluga e la Valchiavenna.

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E se dell’altrettanto affascinante finestra – o buco – del favonio abbiamo già detto, un’ultima curiosità riportata con sé dal nord delle Alpi riguarda le pure già citate – da Cecilia Moretti – nubi lenticolari: “In Svizzera interna le chiamano le chiamano “Föhnfische”, perché assomigliano talvolta a dei pesci” chiude Stefano con un sorriso.

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Le nubi lenticolari, in tedesco chiamate "Föhnfische" (pesci da favonio)

  • D. Gerstgrasser

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