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La Silicon Valley in crisi ostenta ottimismo

Decine di migliaia di impieghi tagliati e il crac della banca non sembrano scoraggiare questo angolo di California, dove si parla ancora di nuove opportunità

  • 30 marzo 2023, 08:47
  • 24 giugno 2023, 06:06

Silicon Valley in crisi

Telegiornale 29.03.2023, 20:00

Di: Massimiliano Herber / TG / redMM

Le cifre sono impressionanti, decine di migliaia di impieghi tagliati da ottobre. L’effetto domino causato dal crac della Silicon Valley Bank continua ad agitare i mercati finanziari di tutto il mondo, eppure in quest’angolo della California – dagli Anni Settanta inesauribile fucina di innovazione, dove si incontrano chi ha le idee e chi i soldi – si continua a respirare un feroce ottimismo.

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I tagli di "Big tech".

Brian Immel è stato licenziato da Meta – la società che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp – a novembre. Un mattino si è svegliato e il suo account era stato chiuso. Un’ora o due dopo gli è arrivata un’e-mail comunicandogli il licenziamento. "Questione di numeri", ci dice, sorridendo della cosmesi retorica: Meta non parla di ridimensionamento ("downsizing"), ma di razionalizzazione ("rightsizing"). Lui ha 51 anni, ha trasferito la famiglia dall’Oregon per lavorare a Menlo Park, ma non si scompone quando snocciola il centinaio di curricula inviati per trovare un nuovo impiego o il travaglio di quasi trenta colloqui di lavoro. Qui nella valle del silicio pare normale funzioni così.

Brian Immel

Brian Immel.

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Il genovese Vittorio Viarengo si è trasferito negli Stati Uniti dopo aver venduto la sua start-up. Dopo vent’anni è un veterano della Silicon Valley e ci tiene a precisare che quella “giornalistica” è una narrazione fuorviante. “È vero, spiega, i tagli ci sono stati – e dispiace per chi ha perso il lavoro – ma si dimentica quanto il settore tecnologico abbia assunto negli ultimi due anni. Dal 2019 solo i quattro Big Tech (n.d.r. Amazon, Meta, Microsoft e Alphabet) abbiano hanno creato quasi un milione di nuovi impieghi”. Il presente ci dice che la pandemia, continua Vittorio indicando il campus della sua società mezzo vuoto, ha lasciato in eredità un nuovo modo di lavorare – il telelavoro – ma se pensiamo al futuro dobbiamo rispondere a una sola domanda: tra cinque anni ci sarà bisogno di più o meno tecnologia digitale? E la risposta è univoca: ce ne vorrà di più!”.

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Vittorio Viarengo, vice-presidente VMware.

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Difficile stilare una contabilità precisa dei tagli nella Silicon Valley: si stima che dall’autunno almeno 800 aziende abbiano ridotto il personale di almeno il dieci percento. Tra la contea di San Jose e la Bay Area di San Francisco, a fine febbraio il saldo negativo è di meno 12mila impieghi. “È un periodo di assestamento, spiega un osservatore esperto come Russell Hancock, presidente del think tank Joint Venture Silicon Valley, non c’è paragone con quanto avvenuto nel 2008. Allora vennero persi 300mila impieghi…”. È il fallimento della Silicon Valley Bank? “È stato uno choc, perché per 40 anni era un pilastro del nostro ecosistema… Ma le assicuro una cosa: gli investitori di ventura non metteranno il denaro sotto il materasso. In questo Paese non succede!”.

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Russell Hancock.

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Per il Telegiornale RSI sono andato a cercare un pioniere della Silicon Valley: Steve Blank. Questo newyorkese oggi 69enne dopo la guerra in Vietnam si è fermato in California. Ha fondato una start-up di successo dopo l’altra e oggi, professore a Stanford, diffonde e spiega il credo siliconvallico. Quando accenno alla Silicon Valley Bank, risponde dicendo “opportunità”, e non appena azzardo la parola “licenziamenti”, ripete “opportunità”. Non nega il ridimensionamento, ma crede che il crac bancario possa non essere solo un male: “Usciamo da un periodo in cui avevamo una liquidità illimitata, e molti investitori hanno gettato denaro in investimenti che non meritavano, perché il solo obiettivo era fare più soldi a breve termine, non costruire qualcosa di duraturo. Credo che quando avvenuto, chiosa, possa essere salutare per la Silicon Valley”.

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Steve Blank.

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Nella Silicon Valley la chiamano “disruption”: nel momento di rottura, di crisi, si fa spazio una nuova opportunità, un’innovazione che può scompaginare il mercato. Si sussurra possano essere i “chat software”, come ChatGPT (o Bard o…) creati grazie all’Intelligenza Artificiale. Ma la pandemia ha lasciato in eredità anche una generazione che non nasconde la propria stanchezza per un modello di lavoro ritenuto vetusto.

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Jerry Haagsma.

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Dopo il college Jerry Haagsma ha lavorato come software engineer per Linkedin e Square: l’anno scorso ha mollato tutto, ha detto addio a un impiego con un salario “a cinque zeri”, per dedicarsi a un altro business: i pop-corn. “Lo stipendio, dice, era più che ottimo. Era quello di cui avevo bisogno per ripagare il college, ma non ci sono solo gli incentivi finanziari. Cerco ciò che mi fa stare bene a fine giornata”. Dal “soft” dei programmi informatici alla leggerezza dei pop-corn… quella stessa controcultura che aveva fatto da alveo alla nascita della Silicon Valley mostra un’altra tendenza: chi al lavoro non torna, chi dal lavoro si prende una pausa. Dall’ottovolante tecnologico si può scendere; per risalirci c’è sempre tempo.

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