C’è un posto in Libia dove fino a poco più di un anno fa chi criticava il potere locale veniva chiuso dentro dei forni. Tarhouna, 90 chilometri a sud di Tripoli, una zona agricola che in una situazione normale avrebbe prosperato sfruttando le distese di alberi di ulivo che circondano la città.
Così si vive a Tarhouna - Il reportage di Emanuele Valenti - RG 18.07.2021
RSI New Articles 26.07.2021, 13:28
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“L’uomo che venne a bussare alla nostra porta e mi portò via con i miei figli è ancora in giro. Certo che abbiamo paura”. Questo quanto ci dice Ahmed Farj Mansour quando, abbracciato a due nipotini, ci racconta quello che è successo alla sua famiglia. “Io venni rilasciato poco dopo, i miei figli no, non li abbiamo mai più visti”.
Tarhouna spiega come pochi altri posti la storia recente della Libia. Crimini, violenze, soprusi nell’impunità assoluta. Fino a un anno fa la città era sotto il controllo del clan Kanie, un'organizzazione criminale che aveva costretto la popolazione, 270mila persone, a vivere in un regime di terrore. Chi dissentiva veniva arrestato, torturato, a volte ucciso in pubblico.
I forni di Tarhouna
Nelle celle della prigione di Tarhouna stavano fino a venti persone, bambini compresi. In fondo al cortile del carcere delle piccole fosse comuni. In tutta la città ne sono già state trovate diciannove. Le denunce di sparizioni sono più di 350, spesso riguardano più persone. I forni usati per le torture – strutture in ferro dentro un blocco in muratura - sono in un piccolo edificio all’interno di quella che era una scuola. Sopra le celle veniva acceso il fuoco. “Abbiamo parlato con tutti – ci racconta il sindaco, Mohamed al-Kesher – ma nessuno ci ascolta, non so fino a quando potrò tenere la gente, c’è voglia di vendetta”.
Negli ultimi anni il clan Kanie si era alleato con il generale Haftar, che aveva usato Tarhouna come avamposto nella guerra contro Tripoli (i membri della famiglia sono scappati a Bengasi). Ma prima i Kanie avevano governato la città – e i traffici illeciti, compreso quello dei migranti – con il beneplacito dei governi di Tripoli. Le responsabilità del disastro libico sono di tutti.
Emanuele Valenti - Claudio Maggiolini
La situazione libica alla TV