Il crollo dell‘Unione Sovietica nel 1991 ha segnato la nascita di quindici stati indipendenti, Russia compresa. In Europa le tre repubbliche Baltiche, già nell’UE e nella NATO, più Ucraina, Bielorussia e Moldova; nel Caucaso Armenia, Azerbaijan e Georgia; in Asia centrale Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. In tutte queste aree, che Mosca ha sempre considerato un po’ come il proprio giardino di casa, sono scoppiati a ripetizione negli ultimi trent’anni vari conflitti, più o meno sanguinosi, in parte frutto delle nuove tensioni innescate sul duello geopolitico scaturito dalla fine della Guerra fredda tra Russia e Occidente per le nuove sfere di influenza e in parte eredità del passato sovietico e della creazione talvolta artificiale di queste repubbliche già nella prima parte del secolo scorso. Uno di questi è quello tra Kirghizistan e Tagikistan, riesploso nella seconda metà di settembre con scontri armati che hanno causato la morte di un centinaio di persone su entrambi i fronti.
Il quadro
Non è la prima volta che questi due Stan dell’Asia centrale si ritrovano in questa situazione. Gli ultimi scontri tra kirghisi e tagiki risalgono all’estate del 2021, con una sessantina di morti, con scontri sempre lungo la frontiera condivisa di quasi mille chilometri. Sin dagli anni Novanta sono state molteplici le tensioni, a causa di un confine mai veramente delimitato con esattezza in alcuni punti, tra la regione kirghisa di Batken e quella tagika di Sughd. Questioni territoriali che hanno interessato soprattutto l’exclave tagika di Vorukh, in territorio kirghiso, e sono state il teatro delle fiammate più recenti. Il Kirghizistan ha parlato di una sessantina di morti sul suo versante dopo gli attacchi tagiki, concentrati appunto nel distretto di Batken, dove sarebbero state evacuate oltre 130'000 persone. I tagiki hanno denunciato invece l’attacco a sette villaggi con colpi di mortaio. Tra Bishkek, capitale kirghisa, e Dushanbe, tagika, sono poi continuati gli scambi di accuse su chi abbia acceso la miccia ed è entrata in azione la Russia, con Putin che ha invitato i suoi omologhi, il kirghiso Japarov e il tagiko Rahmon, a raggiungere un accordo diplomatico per evitare una pericolosa escalation. Mosca intrattiene buoni rapporti con i due paesi, i più poveri della vecchia URSS: sia in Kirghizistan che in Tagikistan mantiene una presenza militare, alcune migliaia di soldati nelle rispettive basi di Kant e Dushanbe. Nel passato non ci sono mai stati interventi diretti del Cremlino a favore di uno dei paesi che hanno hanno spalle una storia turbolenta.
Il Kirghizistan
Grande come quasi cinque volte la Svizzera, ha meno di sette milioni di abitanti e negli ultimi quindici anni ha vissuto due rivoluzioni, nel 2005 e nel 2010. Il quadro politico è stato sempre molto instabile, legato soprattutto alle vecchie divisioni di clan e geografiche che segnano ancora oggi la società kirghisa. Il presidente è Sadyr Japarov, salito al potere lo scorso anno dopo che le proteste del 2020 avevano costretto il suo predecessore Sooronbai Jeembekov alle dimissioni. I kirghisi sono un popolo di origine turca, di religione musulmana sunnita, e costituiscono oltre il 60% della popolazione; gli altri sono uzbeki (13%), russi (12%) e altre minoranze. Rispetto agli Stan ricchi di risorse, tra gas e petrolio (Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan), il Kirghizistan, al pari del Tagikistan, ha un’economia basata più che altro sull’agricoltura e un importante fattore sono i lavoratori all’estero, soprattutto in Russia e Kazakistan. Eccezione fanno però le terre rare e l’oro, con la miniera di Kumtor, la cui gestione è affidata alla società canadese Centerra Gold, anche se il nuovo presidente Japarov vorrebbe riportarla sotto controllo statale
Il Tagikistan
Il paese è stato teatro della più sanguinosa guerra nello spazio postsovietico negli anni Novanta, con circa 100'000 morti. Grande quasi quattro volte la Svizzera e con circa 10 milioni di abitanti, il Tagikistan è retto oggi come allora da Emomali Rahmon, ex segretario del partito comunista tagiko ai tempi dell’Urss e ora presidente più longevo nello spazio postosvietico, ancora in gara con il bielorusso Alexander Lukashenko. Come il Kirghizistan anche il Tagikistan ha un’economia agricola e una piccola parte la fa l’industria estrattiva, analogamente forte è anche l’emigrazione verso la Russia. I tagiki, mussulmani sunniti come i kirghisi, hanno però origina iranica; ancora relativamente forte è la minoranza uzbeka (13%), mentre quella russa si è ridotta al lumicino (0,5%). Il paese confina a sud con l’Afghanistan e dopo il ritorno dei Talebani a Kabul è cresciuto il timore di infiltrazioni estremiste che potrebbero destabilizzare anche le regioni del sud oltre che quelli confinanti a nord con il Kirghizistan.
Le prospettive
Sino a che non saranno risolte le questioni di frontiera, per le quali è al lavoro una commissione congiunta tra Bishkek e Dushanbe, e quelle collegate sullo sfruttamento delle risorse primarie, soprattutto l’acqua, la regione rimarrà una polveriera. Kirghizistan e Tagikistan, i due Stan più poveri dell’Asia centrale, sono molto legati alla Russia, ma gli ultimi anni hanno visto crescere l’influenza di Pechino. La Cina è l’altro grande vicino del giardino centroasiatico, interessato ovviamente alla stabilità della regione e impegnato con la Russia nel tenere a bada le spinte islamistiche che periodicamente si riaffacciano alla ribalta, con connessioni che vanno appunto dagli Stan e all’Afghanistan e alle regioni orientali cinesi. Uno dei fulcri del radicalismo islamico in Asia centrale è sempre stato la valle di Fergana, condivisa tra Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Bishkek e Dushanbe sono solo due piccoli tasselli del mosaico già molto frammentato che in realtà tutti gli attori in campo hanno interesse a tenere insieme.
RG 12.30 del 17.9.2022 Il servizio di Stefano Grazioli
RSI Info 17.09.2022, 16:04
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Putin dichiara l'annessione dei territori ucraini
Telegiornale 30.09.2022, 22:00