"Ai fasevom farü o brasct, ma da castegn an mangiavom sempro". Gli occhi ancora arzilli di Marta Binsacca si socchiudono leggermente mentre evoca i ricordi di gioventù. E poi c’è la Ditta, così Giuditta Franscioni è conosciuta in paese, che osserva il carico e lo scarico delle castagne da lontano perché, superati i 90 anni, fare la salita che porta alla grà è diventato esercizio troppo faticoso. Norilde Grossini, invece, da Aurigeno, dove si è trasferita per amore, è venuta a vedere i bambini che portano i frutti a essiccare.
A Moghegno la grà continua ad affascinare e a fumare, anno dopo anno. Ieri perché le castagne facevano parte dell’alimentazione di base delle popolazioni di montagna e, privandole dell'acqua, si potevano consumare anche a distanza di dodici mesi. Oggi per non dimenticare il passato e l’importanza delle selve castanili, spiega Roger Welti, tra i fuochisti volontari che tre volte al giorno vanno a controllare e ad alimentare la fiamma durante i venti giorni in cui la grà è attiva.
Frammenti di una tradizione che permane
Durante il carico del metato, così si chiama la grà, le castagne vengono pesate e messe sul graticcio. Una volta essiccate vi è lo scarico, che consiste nella loro battitura su ceppi di legno e nella loro pulizia, per privarle della buccia. Due momenti nei quali il paese si anima di voci acute e curiose e di sacchetti colorati o di juta che diventano occasioni di incontro tra generazioni diverse. "Abito in Vallemaggia da una vita ed è la prima volta che vengo a vederla - ha raccontato un anziano a Roger Welti -. Dalla finestra di casa ho visto i bimbi passare e mi sono detto che era il momento di farlo".
Non è semplice ricostruire la storia della cascina in pietra di due piani dove a quello inferiore vi è il fuoco e a quello superiore le castagne. Si pensa che sia stata costruita nella seconda metà del 1800, come quasi tutti gli edifici della zona. Apparteneva a più famiglie, spiega Welti, perché è molto grande. Una volta la superficie interna veniva suddivisa da assi di legno, in modo che ogni famiglia avesse il suo comparto. Ora invece, sapendo che i frutti in tre settimane perdono circa un terzo del loro peso, non li si separa più.
Sandy Sulmoni