Come ti racconto la guerra 

La propaganda colpisce anche il giornalismo? 

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Come sta andando la guerra in Ucraina? Dipende dai punti di vista o – meglio detto – da chi la racconta. E così, successi e insuccessi, numero di morti, avanzate e conquiste, oppure ritirate, vengono descritti da russi e ucraini in modo diverso se non addirittura diametralmente opposto.  

Qualche esempio? I seicento soldati ucraini uccisi dai russi – così dice Mosca - nella rappresaglia per il grosso bombardamento di Capodanno a Makjivka, costato la vita a 400 combattenti russi – così dice Kiev. Cifre – quelle dei morti – smentite dalla controparte. Oppure: la caduta – secondo i filorussi – della città di Bachmut, nel Donbass. Città che, a detta degli ucraini, resta però ancora sotto il loro controllo e sta resistendo… 

Si dice ciò che conviene dire, perché la guerra si fa anche con il cosiddetto “soft power”: ad esempio, va bene sottolineare le vittorie per gli ucraini, ma non troppo, poiché c’è il rischio di perdere il sostegno militare degli alleati. Sul tema sono intervenuti, il 7 gennaio, undici storici corrispondenti di grandi media italiani che hanno lanciato l'allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin". Il risultato di questa tendenza sarebbe una propensione dei lettori per la corsa al riarmo. Il giornalismo è, anche in questo caso, una vittima collaterale della guerra? 

Di questo parleremo a Modem, cercando però anche di fare il punto della situazione sul terreno. Intervengono: 

Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa; 

Rosalba Castelletti, giornalista, corrispondente da Mosca de La Repubblica; 

Marta Serafini, inviata in Ucraina per il Corriere della Sera. 

 

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