Una vita che si è spenta nonostante - o forse proprio per - l’attenzione dei media. Alexei Navalny il dissidente russo anti-Putin più noto a livello internazionale non è sopravvissuto alla sua condanna a 19 anni per estremismo, che si aggiungeva a un’altra pena di 9 anni che stava scontando in una colonia penale vicina al Circolo polare artico. Navalny da tempo faceva sentire la sua voce contro la corruzione di chi governa la Russia, da Vladimir Putin fino alle amministrazioni locali. Un personaggio scomodo, già scampato di misura nel 2020 ad un avvelenamento e che dopo essere stato curato all’estero era rientrato in patria per venir subito incarcerato.
Con la sua morte ci si interroga non solo sui risultati e sull’eredità che lascia Navalny, ma anche sul cosa resta dell’opposizione democratica in Russia e sul valore delle prossime elezioni presidenziali previste fra un mese. Elezioni blindate per permettere a Vladimir Putin di stravincere. Ma allora quali sono le ragioni dietro l’offensiva dell’apparato statale contro ogni dissidenza a cominciare dall’accanimento contro Alexei Navalny?
Ne discutiamo con:
Anna Zafesova, giornalista de La Stampa e per vari anni corrispondente da Mosca
Yurii Colombo, giornalista di base a Mosca
Giovanni Savino, professore all’Università di Napoli Federico II e specialista di storia della Russia
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