Il lupo, simbolo di paure ancestrali. Ma il suo ritorno nelle Alpi svizzere è anche problema oggettivo e reale. Forse saranno una trentina i lupi su suolo elvetico e famoso è il branco della Calanda, più volte al centro della cronaca nei Grigioni. Tra chi li vuole abbattere come predatori non più consoni al territorio antropizzato delle nostre montagne e chi ne rivendica l'assoluta salvaguardia, cercano una difficile intesa le autorità federali e cantonali, gli enti e le associazioni di ambientalisti, di allevatori e di cacciatori. Da diversi anni si lavora per trovare strategie e modalità che permettano la convivenza del lupo con l'uomo, del grosso predatore che ritorna con le greggi sugli alpeggi che rischiano l'estinzione.
Il lupo è un animale protetto dalla convenzione di Berna, un trattato internazionale sottoscritto dalla Confederazione. Ma non in modo assoluto. Quando i predatori causano troppi danni alle greggi, possono essere abbattuti. Lo prevede il piano nazionale di gestione del lupo della Confederazione che ha permesso sino ad ora la soppressione legale di sette esemplari in Vallese ed uno nei Grigioni. Senza contare gli esemplari uccisi dai bracconieri.
E oggi c'è chi chiede di allentare ancora di più la protezione, di lasciare ai cantoni maggiore libertà e autonomia nella gestione del lupo. Che significa, meno ostacoli nell'abbattere quegli esemplari che sbranano capre e pecore. Dal fronte animalista, arriva però la denuncia dell'incapacità di gestire il problema come si fa in altre zone d'Europa, con modalità di pascolo diverse e l'impiego di cani pastori.
Ne parliamo a Modem con i Consiglieri Nazionali Silva Semadeni, socialista, presidente di Pro Natura e Fabio Regazzi, popolare democratico e presidente della Federazione Cacciatori Ticinesi; e con Moreno Celio, capo Divisione ambiente del Canton Ticino.
Scopri la serie
https://www.rsi.ch/s/703681