Nonostante gli scontri nelle piazze di Atene, le tensioni sociali, lo scontro politico, le elezioni ormai alle porte, domenica notte il Parlamento greco ha votato con una ventina di voti di scarto la legge di stabilità 2015, che prevede un bilancio quasi a pareggio, una crescita del Pil del 2,9 per cento e un calo della disoccupazione dal 24,8 al 22,6 per cento. Stime troppo ottimistiche, in forte contrasto con le stime della Troika internazionale dei creditori: il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea e l’Unione europea.
Ma se la Grecia resta per ora una sorvegliata speciale, tra il Paese ellenico e l’Eurogruppo, ieri, lunedì, è stato raggiunto un compromesso: altri due mesi di tempo (invece dei sei ipotizzati) per completare il programma di riforme, anche se il Governo greco si considerava ormai pronto (anche per ragioni elettorali) per uscire dal programma di salvataggio. Riforme necessarie per il versamento dell’ultima tranche di 1,8 miliardi di euro di prestiti europei previsti dal secondo piano di salvataggio del 2012.
Modem ne parla con: Dimitri Deliolanes, corrispondente ERT a Roma; Costas Karvounaridis, avvocato ad Atene; e Alessandro Giovannini, ricercatore al CEPS di Bruxelles.
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