La certezza di disputare i playoff a marzo per garantirsi un posto ai prossimi Mondiali rappresenta l’apice della fin qui breve storia del Kosovo. Nessuno, considerata la presenza di Slovenia e soprattutto Svezia, avrebbe scommesso sui Dardani come rivale più accreditata per fronteggiare la Svizzera. Tantomeno dopo il 4-0 rifilato loro dai rossocrociati a Basilea nella partita d’esordio. E invece, da quel giorno, qualcosa è cambiato: la squadra di Foda è diventata granitica dietro e spietata davanti. Ed ora punta al colpo grosso, ad una qualificazione che avrebbe del clamoroso. Ne abbiamo parlato con Eris Abedini, ex Lugano e Chiasso e oggi capitano dello Xamax in Challenge League, che la maglia kosovara ha avuto l’occasione di indossarla.
Quattro gol incassati al debutto contro la Svizzera e poi tre vittorie, un pareggio, zero gol subiti e soprattutto la certezza di partecipare ai playoff per i Mondiali. Te lo aspettavi?
“No, assolutamente. Non tanto per le qualità della nostra Nazionale, che può contare su giocatori esperti e che militano nei principali campionati europei, piuttosto per la forza e lo spessore delle altre contendenti. Non c’è nulla da nascondere: Svizzera, Svezia e Slovenia, perlomeno sulla carta, sono squadre più forti. Sicuramente più complete. E invece, eccetto per i rossocrociati…”
E invece dopo il primo ko qualcosa è cambiato. Cosa esattamente?
“In primis il sistema di gioco. Foda, dalla seconda partita, ha puntato su un 5-3-2 sicuramente più difensivo ma che ha esaltato le caratteristiche della squadra. Oggi il Kosovo è solidissimo dietro, sfrutta il lavoro fisico di Muriqi davanti e dà sfogo alla fantasia di giocatori come Zhegrova. Sì, si è trovato il modulo per far rendere al meglio tutti”.
Un modo di giocare, però, che non potrà essere applicato per provare a compiere il miracolo con la Svizzera...
“Nel calcio tutto può succedere, ma bisogna essere realisti: vincere con sei gol di scarto contro un avversario del genere è un’impresa quasi impossibile. Anzi, penso che il focus della nostra Nazionale ora sia già rivolto a marzo, quando si avrà la possibilità di scrivere un’ulteriore pagina di storia dopo aver raggiunto i playoff. Un risultato già di per sé straordinario”.
A proposito, come ha preso la gente l’accesso ai playoff?
“Tutti sono davvero entusiasti per i risultati ottenuti e, con la certezza matematica, c’è tantissima euforia. In caso di qualificazione non so cosa potrebbe succedere, davvero, perché in Kosovo tutti vanno pazzi per il calcio. Quel che è certo è che già stasera si respirerà un aria di festa, indipendentemente dal risultato finale”.
Svizzera e Kosovo sono legate dai giocatori con il doppio passaporto, che possono optare per una o l’altra Nazionale. Considerata la netta crescita del calcio svizzero nell’ultimo ventennio, è possibile che questa in un certo senso possa favorire lo sviluppo della vostra selezione? In fondo, nel recente passato, alternative valide anche per la Svizzera come Avdullahu e Hajdari hanno optato per il Kosovo…
“È difficile rispondere, ma mi viene da dire di sì. Quando un giocatore si trova di fronte ad una situazione simile, d’altronde, o segue il cuore o fa una scelta negli interessi della propria carriera. È innegabile, in taluni casi, che anche il secondo aspetto può avere un’influenza: da una parte il rischio di avere un ruolo marginale con la Svizzera, dall’altra la garanzia di avere un posto da titolare con il Kosovo e dunque la certezza di potersi confrontare sul palcoscenico internazionale”.
Gettando un occhio alla rosa attuale, circa la metà dei giocatori presenti si è formata all’estero. È difficile per un kosovaro diventare calciatore nel proprio paese? Più in generale, in che stato di salute è il movimento?
“Sì, non è affatto semplice. In primis si tratta di un calcio che riscuote poco interesse ed è poco seguito a livello giovanile, e poi perché campi e infrastrutture non sono all’avanguardia come in diversi altri paesi europei. Se penso alla mia esperienza vissuta lo scorso anno con il Ballkani, i giovani spesso non vengono messi nelle condizioni di potere esprimere il loro talento. Ad emergere, in sostanza, sono solo in pochissimi ed è chiaro che all’estero le chance di sfondare sono migliori”.
Restiamo al principale campionato kosovaro, che tu hai vissuto da protagonista. Una top squadra del vostro paese dove potrebbe situarsi in Super League?
“È sempre difficile fare questi paragoni. Considerato che il Drita è stata recentemente la prima squadra kosovara ad ottenere una prima storica vittoria in una competizione europea in Conference League, però, mi pare chiaro che il massimo campionato del nostro paese non possa essere paragonato a quello svizzero. Mi sbilancio: chi in Kosovo comanda la classifica, in Svizzera rischia di giocare per la salvezza”.
Tu hai debuttato il 16 novembre del 2022 contro l’Armenia, tra l’altro a fianco di Uran Bislimi. Che ricordi hai di quella partita? Credi sia ancora possibile una chiamata per una competizione ufficiale?
“Pur trattandosi di un’amichevole, quel giorno resta sicuramente tra i ricordi più belli della mia carriera. Un’emozione grandissima, indescrivibile, che mi piacerebbe rivivere, perché no, in una partita di qualificazione. Sono consapevole, giocando in Challenge League, che in questo momento è più un sogno che una reale possibilità. Però il calcio va veloce, magari le cose potrebbero cambiare...”
Magari attraverso una promozione in Super League con lo Xamax?
“Beh, è chiaro che la visibilità della Super League è sicuramente maggiore rispetto a quella della Challenge. Essendo un campionato di riferimento per la Federazione kosovara, chi fa bene lì ha sicuramente maggiori possibilità di essere convocato. Vedremo cosa mi riserverà il futuro, ma ora l’attenzione è sulla mia attuale società. E chissà che la promozione non possa arrivare proprio con lo Xamax”.

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