Monzuno e la Luna non sono poi così distanti. Stefano Benni, che era proprio di quel piccolo paese dell’Appennino emiliano, e che alla Luna ululava, lo sapeva benissimo.
E ancora meglio quella consapevolezza la traduceva in immagini, colori, profili, aneddoti, nomi, nomignoli e soprannomi. Tipo il suo, Lupo, per quella passione aborigena di cui sopra.

Addio a Stefano Benni
Alphaville 09.09.2025, 11:45
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Iperboli che facevano il giro, toccavano la luna e tornavano al punto di partenza: Monzuno. Tornavano in paese, al bar, tra i vecchi e le Luisone, tra cinni (bambini) che giocano a palla e ciappinari (tuttofare) che saltano dall’idraulica al giardinaggio da un civico all’altro. Parole di provincia che Benni ha saputo pascolare fino all’Accademia, dal dialetto alla lingua, facendone patrimonio e immaginario comune perché messe nero su bianco su romanzi che hanno segnato la letteratura italiana di fine ‘900. E Benni lì, a fine secolo, ci stava benissimo.
Forse in parte addirittura lì è rimasto, prima che la globalizzazione rendesse tutto simile, piallando spigoli e sfumature, rendendo “tuttocittà”. I personaggi di Benni non potevano sopravvivere allo spopolamento, all’abbandono di valli e montagne, alla gentrificazione. Il loro perché, il loro essere normalmente eccezionali risiedeva proprio lì, sull’Appennino bolognese. Che è poi borgata romana, campagna veneta o valle ticinese.
Da dove lui, capace di armare la penna con le risate, riusciva a accompagnarli verso un’esilarante e straordinaria quotidianità di tutti. D’altronde tra un paesino e l’assurdo la distanza è minima. Per info chiedere ai “matti”. O a lui.

Stefano Benni, o la teoria del dito
RSI Archivi 19.04.1983, 11:23
Tutto grazie a una biblioteca, come raccontava lui stesso. A cambiargli la vita, tra la dozzina di vie di Monzuno, fu l’arrivo e la scoperta di una biblioteca, quel luogo capace di rendere Universo un paese, di sedersi a Monzuno e ritrovarsi a Bologna, Roma, Parigi, Londra, New York o su Marte, fino a quando mamma o nonna chiamano per la cena.
Viaggi intergalattici di cui presto - pubblicò Bar Sport a 27 anni - sarebbe diventato abile nocchiere. Quel libro, che in una recensione lunga un haiku potrebbe essere “un paese di 140 pagine”, quello fu e quello è: un irresistibile viaggio da fermo. Paolo Di Paolo su Repubblica ha perfettamente ricordato Benni come un “osservatore civile”. Uno sguardo pubblico attento e silenzioso, capace poi di tornare a casa e giocare con la lingua per dipingere ciò che aveva visto, ascoltato e - forse sì - immaginato. Perché una brioche infelice in una vetrinetta desolata può vederla chiunque, chiamarla “Luisona” no.

Stefano Benni a Roma, 1995
Ma Benni sapeva scegliere, ritagliare e incollare, costruendo meravigliosi pop-up artigianali che spalancavano risate. Perché Benni spaccava dal ridere. Soprattutto alle origini, prima che decidesse di sondare altri fondali, il suo taglio e la sua cifra erano quello comico e quella umorista. Se ne accorse Cuore, se ne accorse Tango, se ne accorse Linus e se ne accorse Beppe Grillo (quello che faceva ridere). Di nuovo la magia di paese, dello sfottò tra compari, dell’ignoranza colta, che lui innalzava a immagine e immaginario, solleticando - fino a far ridere pure lei - la poesia.
Dagli archivi RSI: Incontro con Stefano Benni (Turné del 25/01/14)
RSI Info 29.09.2015, 17:21
In decenni di carriera Benni scrisse tanto, tantissimo, assaggiando pure il cinema, la televisione e il teatro. Per non parlare dell’intuizione condivisa con Feltrinelli: “traducete Pennac”.
Eppure, forse è lì che possiamo continuare a trovarlo: Sport o sotto il mare che sia, Benni sarà per sempre al bar. Quel Bar Sport che per certi versi gli rimase pure di traverso, come un indigeribile bolo di Luisona.
“Leggete anche gli altri”, suggeriva lui stesso nella prefazione della riedizione del 2016. Altri Tipo Terra! (1983), Il bar sotto il mare (1987), La compagnia dei celestini (1992), Saltatempo (2001) o al mai come oggi didascalico L’ultima lacrima (1994). No? Pazienza. Fermarsi a quello, restare al Bar Sport, basta e avanza per gridare “Viva Benni”. Viva il Lupo.