Viviamo nell’era della collaborazione: ogni prodotto – che si parli di abbigliamento o musica – funziona meglio se ad accompagnarlo ci sono due o più brand, intesi nell’accezione più ampia possibile. E così ecco le scarpe di adidas e Kanye West, certo, ma anche le borsette di lusso con sopra i manga di Hayao Miyazaki, le cuffie delle squadre di basket, gli hamburger con salse inventate dalle star del K-pop, e così via in un elenco lungo quanto il numero di grintosi marketing manager presenti nelle aziende di tutto il mondo, cioè potenzialmente infinito. Del resto, l’unione fa la forza, commerciale e comunicativa: se un mega-influencer di prima fascia riesce a farsi pagare centinaia di migliaia di franchi per un post collaborativo su Instagram, evidentemente l’investimento deve avere un ritorno altrettanto remunerativo.
Nell’estate 2023, anche la musica italiana sembra puntare con decisione sulla cosiddetta collaboration culture, nella speranza di rinverdire i fasti pop di quando esisteva il mainstream, che peraltro non sembrano destinati a tornare (con l’importante eccezione della fiorente industria dei concerti). Niente di rivoluzionario, per carità: l’idea della collaborazione tra artisti è sempre stata parte del DNA della cultura hip-hop, e da quando – sono ormai diversi anni – l’hip-hop si è trasformato in pop, è diventata la norma. Non si parla solo di semplici featuring, che ormai non si negano a nessuno: oggi la collaborazione prende sempre più spesso la forma del joint album condiviso. Ancora una volta, non si tratta di una novità assoluta: da Eric B. + Rakim a Drake + chiunque (scegliete voi se preferite Future, 21 Savage o Lil’ Baby, che pare sarà il prossimo sulla lista del rapper canadese), passando per Method Man + Redman e Jay-z + Kanye West, gli esempi non mancano. Neanche da questa parte dell’oceano, in Francia e Gran Bretagna soprattutto.
L'anno dei joint album italiani
Ma dicevamo, la musica italiana. Il 2023 sembra davvero essere l’anno delle collaborazioni: hanno cominciato il mese scorso Nerone e Ensi, con un disco di rap-rap che ha fatto felici gli amanti del genere. Tuttavia, l’album collaborativo dell’estate è senza dubbio No Stress di Rkomi e Irama, uscito da poco più di una settimana e capace di mettere insieme due campioni delle classifiche di questi anni, già co-autori di due singoli che contano otto dischi di platino. Il primo uscito dalle case popolari della parte sud di Milano, il secondo emerso da Amici di Maria De Filippi: che la conduttrice sia una delle principali demiurghe del pop italiano è del resto storia assodata, visto che prima di Irama sono passati davanti alle sue lenti Emma, Alessandra Amoroso, Annalisa, Elodie e Sangiovanni. Rkomi e Irama hanno trovato nel produttore Shablo – nome storico dell’hip-hop della Penisola – un punto di riferimento: nel caso di Rkomi, è anche quello che ha prodotto una delle sue prime hit nell’ormai lontano e ipermitizzato anno 2016, Aeroplanini di carta, peraltro – guarda caso – un pezzo collaborativo, con il genovese Izi. Effettivamente si può parlare di No Stress come di un disco non a quattro, ma a sei mani, grazie alla direzione artistica (definizione sempre buffa, per una serie di motivi che vanno da Franco Battiato ad Amadeus, ma tant’è) di Shablo. Anche se poi i produttori dei singoli pezzi sono molti e diversi.
Tutte le collaborazioni del rap italiano nel 2023
Ma il 2023, dicevamo, è l’anno delle collaborazioni: Rkomi e Irama non saranno gli ultimi a mettere insieme voci e fan. Dopo di loro sono in arrivo Luché e Geolier (senza dubbio), Salmo e Noyz Narcos (quasi sicuro), Coez e Frah Quintale (a settembre), e poi, beh... prima o poi Guè e Marracash scopriranno il loro Santeria 2 (facile sospettare che sarà intorno alle date del Festival Marrageddon organizzato dal secondo a settembre, tra Milano e Napoli).
Chissà se, raddoppiando le puntate su un singolo prodotto, le case discografiche riusciranno a catturare anche solo per un attimo in più l’attenzione di un pubblico sempre più distratto, sfuggente, impossibile da concentrare (e far concentrare, verrebbe da dire). Sicuramente le major stanno mettendo in campo molte energie per la buona riuscita di questi progetti collaborativi, come dimostrato proprio da No Stress, frutto di un accordo anche tra le due principali concorrenti sul mercato cosiddetto urban italiano, Warner Bros (Irama) e Universal (Rkomi).
Dunque, questo lo stato dell’arte. Rimane da occuparsi dell’arte in sé, vale a dire: la musica, com’è? Nello specifico quella di Irama e Rkomi su No Stress, in questo caso. La risposta sta nel titolo stesso, che racconta di un album costruito per essere ascoltato con leggerezza, con pezzi di varia impronta più o meno pop (fino alla dance di Un’altra bugia) e più o meno hip-hop, pronti per essere inseriti in playlist di generi e mood diversi. Non si ricerca grande complessità, anche se non mancano numeri interessanti a più livelli, come il finale Figlio Unico, che ospita – oltre al talento indiscutibile di Ernia (riconosciutissimo) e Kid Yugi (in via di riconoscimento) – alcune riflessioni di Rkomi sul suo percorso musicale, che l’ha portato da possibile “futuro Nas italiano” (citazione d’annata sempre di Shablo) a gallina dalle uova d’oro del pop. Riflessioni che sembrano portarci verso la più banale delle verità contemporanee: forse i soldi e la fama non fanno la felicità, ma è più facile essere tristi da poveri. Quindi forse la lettura più semplice di No Stress è quella corretta: facciamo musica per piacere alle ragazze, e funziona piuttosto bene. In attesa di collaborazioni musicali con obbiettivi diversi, è difficile criticare Rkomi e Irama. Con questo caldo, poi, meglio seguire i loro consigli.