Cultura e spettacoli

È Almodóvar il Leone

Un verdetto che era nell’aria e accontenta pubblico e critica. Ma la giuria ha comunque regalato sorprese

  • 7 settembre, 22:39
  • 9 settembre, 08:07
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Il regista iberico bacia eloquentemente il Leone d'oro a lui conferito per “The Room Next Door - La Stanza Accanto"

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Di: Alessandro Bertoglio 

Erano almeno quattro i film che, secondo i critici internazionali e le voci che si sono rincorse per tutto il giorno al Lido, si dovevano contendere i premi principali dell’edizione 2024 della Mostra del Cinema di Venezia. A cominciare da “The Room Next Door - La Stanza Accanto” di Pedro Almodóvar: era il suo primo film girato negli Stati Uniti, ed è stato quello che ha convinto la giuria guidata da Isabelle Huppert. Colonne portanti del film sono le due interpreti, Julianne Moore (Ingrid, scrittrice) e Tilda Swinton (Martha, reporter di guerra): due amiche che si ritrovano dopo anni e che condividono gli ultimi giorni di vita di Martha, afflitta da una grave malattia e decisa a interrompere le proprie sofferenze. Non ha convinto appieno tutti, ma “The Room Next Door” è un film di rara intensità, girato magistralmente dal maestro spagnolo, già vincitore di due premi Oscar.

Tra i favoriti della vigilia c’era anche “The Brutalist” di Brady Corbet, attore e regista statunitense che ha conquistato il Leone d’Argento per la miglior regia. Il suo film, monumentale (215 minuti... con sorpresa) racconto biografico sull’architetto ebreo ungherese László Tóth, ci regala però l’ennesima, straordinaria interpretazione di Adrien Brody.

Abbiamo citato tre protagonisti che avrebbero meritato la Coppa Volpi (per regolamento non può, salvo rarissime eccezioni, essere assegnata ad un film che ha già conquistato un altro premio): qui la giuria ci ha messo del suo, premiando, decisamente a sorpresa, Nicole Kidman e Vincent Lindon. La Kidman è la protagonista di quello che avrebbe dovuto essere un film-scandalo sulla morbosa e sconveniente relazione tra una manager di successo ed un praticante. Ma ne è uscito un “9 settimane e mezzo” mescolato ad “Attrazione fatale” e decisamente annacquato.

Quindi “Jouer avec le feu”, che ci offre una importante prova di Lindon, nei panni di un padre vedovo con due figli, il più giovane studente modello e prossimo ad andare a Parigi a studiare alla Sorbona; il più grande, disilluso e geloso delle attenzioni rivolte al fratello, che finisce per essere catturato dalla illusoria, facile e pericolosa quotidianità di un gruppo di giovani di estrema destra.

Gli altri due film che hanno sfiorato il premio più importante sono “Queer” di Luca Guadagnino, con un convincente Daniel Craig in quella che è forse la sua interpretazione più complessa e coraggiosa, nel lavoro tratto dall’opera omonima di William Burroughs, e “Ainda estou aqui” del regista brasiliano Walter Salles, che forse avrebbe meritato un premio più importante di quello assegnato ai suoi due sceneggiatori, Murilo Hauser e Heitor Lorega. La storia, ambientata nel 1971 durante la dittatura militare, vede la bravissima Fernanda Torres interpretare Eunice Paiva, moglie di un ex-deputato che viene prelevato dalle autorità per un interrogatorio dal quale non farà ritorno.

Se “Queer” è rimasto a bocca asciutta, un premio, e importante come il Leone d’argento - Gran premio della giuria lo ha conquistato “Vermiglio”, secondo film di Maura Delpero, ambientato alla fine della seconda guerra mondiale proprio a Vermiglio, villaggio di montagna nel Trentino, da dove proviene anche la famiglia della regista, premiata a Locarno nel 2019 con il suo primo film “Maternal”. Una comunità che si appresta a vivere la fine della Guerra, ma che nell’arco di 4 stagioni, vede messe in discussione le rigide regole che hanno fino ad allora regolato i rapporti all’interno di una famiglia patriarcale.

Più probabilmente per il tema trattato, ovvero l’aborto legale e illegale praticato da una ginecologa di un villaggio rurale della Georgia, che per le qualità cinematografiche, il premio speciale della giuria è andato ad “Avril” di Dea Kulumbegashvili. Quest’edizione della Biennale Cinema non ha avuto dei veri e propri “film-evento”, poiché anche l’attesissimo “Joker: folie à deux” ha diviso pubblico e critica e non ha imitato il predecessore, vincitore nel 2019 del Leone d’Oro.

Ventuno i film in competizione, buona la qualità media delle proposte, tra le quali merita una citazione “Youth (Homecoming)“ terzo ed ultimo capitolo della serie dedicata al lavoro nei laboratori tessili di Zhili: opera monumentale che tra Cannes, Locarno e ora Venezia ha costruito uno spaccato di vita e soprattutto lavoro, di giovani e famiglie nell’arco di 5 anni di lavoro (e 10 ore di cinema).

Questa edizione, la numero 16 diretta da Alberto Barbera, è quella nella quale le serie tv hanno svolto un ruolo importante nel catturare l’attenzione del grande pubblico e della critica: “Disclaimer” di Alfonso Cuaròn (su AppleTV+ da ottobre) e “M - Il figlio del Secolo” di Joe Wright (su Sky nel 2025) sono state all’altezza dei grandi film proposti in concorso e nelle proiezioni speciali, se non addirittura migliori. Una situazione che non può restare senza riflessioni di merito.

Venezia, conclusa la Mostra del cinema

Telegiornale 07.09.2024, 20:00

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