Analisi

La fantascienza in Cina è anche una questione di “soft power”

Il successo della serie “Il problema dei tre corpi” ripone l’accento su un genere che, nella Repubblica popolare, non è solo di fantasia ma è anche visione programmatica

  • 7 aprile, 06:50
  • 7 aprile, 09:41
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I creatori della serie Netflix: David Benioff (s), D.B. Weiss (c), e Alexander Woo (d)

  • Keystone
Di: Lorenzo Lamperti

“Se le serie televisive persistono nel presentare storie in modo occidentale-centrico, questo non sfuggirà agli occhi del nostro pubblico”. Il tabloid nazionalista cinese Global Times ha accolto così l’uscita su Netflix de “Il problema dei tre corpi”, realizzata dagli stessi produttori de “Il trono di spade” e tratta dall’omonimo romanzo di Liu Cixin, il pilastro della fantascienza cinese contemporanea. La critica più frequente mossa da media e social è quella della “desinizzazione” del racconto e dei protagonisti, che nel libro erano tutti cinesi. In maniera più profonda, un punto potenzialmente critico per il pubblico della Repubblica Popolare (che deve accedere alla serie in altro modo vista l’indisponibilità di Netflix nel Paese) è la sottrazione di una visione di futuro.

Per capirne di più bisogna tornare a una frase, pronunciata da Han Song, uno dei “generali” della science fiction cinese. “La fantascienza è il modo in cui un Paese e la sua gente immaginano, pianificano e definiscono il futuro. Rappresenta il tipo di visione del mondo, un nuovo mondo diverso dal presente”. Mai questa frase è stata più vera che in Cina. Basti prendere il racconto da molti considerato capostipite del genere, ambientato durante il 50esimo anniversario (immaginato nel 1962) della fondazione di una “nuova Cina”, leader mondiale e fondata su una democrazia tecnologicamente avanzata. Il racconto si chiama “Il futuro della nuova Cina” ed è stato scritto da Liang Qichao nel 1902, proprio dieci anni prima della caduta dell’impero dei Qing, in un momento in cui il territorio cinese veniva fatto a brandelli dall’imperialismo giapponese e dai trattati ineguali con la Russia e le potenze occidentali.

Facciamo un salto avanti di un secolo e a “2066: Red Star Over America”. L’autore è Han Song, un giornalista dell’agenzia di stampa statale Xinhua, e immagina il futuro collasso degli Stati Uniti in un mondo dominato dalla Cina. La data di pubblicazione è il 2000, all’alba dell’ingresso di Pechino nell’Organizzazione mondiale del commercio e al “ventennio di opportunità strategiche” profetizzato dall’ex presidente Jiang Zemin. La Cina immagina, o meglio studia, la sua ascesa: non solo quella economica avviata da Deng Xiaoping, ma anche quella politico-strategica voluta da Xi Jinping.

Un canale per esplicitare le ambizioni in campo tecnologico

In Cina, la fantascienza non è racconto fantastico o futuristico fine a se stesso, né una mera critica alla società del presente. È anche una visione programmatica, tanto da intrecciarsi con il soft power, sia all’interno sia all’esterno dei confini nazionali. Basta scorrerne rapidamente la storia. Dopo che al tramonto dell’era imperiale era nata come una via di fuga da una realtà fatta di debolezza e povertà, nell’era maoista viene utilizzata soprattutto come uno strumento di divulgazione scientifica, in ossequio ai precetti del realismo socialista. Durante la Rivoluzione Culturale, lanciata da Mao nel 1966 per rafforzare il suo potere e liberarsi di tutte le “forze revisioniste”, la fantascienza viene censurata. Troppo delicato e rischioso scrivere di argomenti passibili di essere tacciati come filo imperialisti. Educativa in tal senso la scena iniziale de “Il problema dei tre corpi”, in cui un professore di fisica subisce un processo sommario per aver insegnato la teoria della relatività di Einstein. Nonostante la Rivoluzione Culturale sia stata giudicata in larga parte una “catastrofe” persino dal Partito comunista, come conferma la terza risoluzione sulla storia licenziata nel 2021, nel suo libro Liu aveva preferito piazzare quella scena molto più avanti per evitare la censura.

La fantascienza cinese conosce un grande rilancio dopo che nel 1978 viene proclamata la “primavera della scienza”. È l’alba della stagione di riforma e apertura di Deng Xiaoping. La fantascienza diventa un canale per esplicitare le ambizioni cinesi in campo tecnologico. Rispetto ad altri generi letterari e cinematografici, gode di maggiore margine di manovra. Diventa anzi un ponte tra Cina e mondo, come dimostra il fatto che nel 1991 a Chengdu viene ospitato un forum sull’arte e letteratura scientifica, il primo evento internazionale dopo la strage di Tienanmen del 1989. Negli ultimi anni, la fantascienza ha ricevuto una nuova spinta.

Da una parte grazie alla bravura degli autori, che stanno ottenendo sempre più fama internazionale. Oltre a Liu e Han, si possono citare il realismo iper cupo di Chen Qiufan, autore del fortunato “Marea tossica”, e l’ultra-irrealismo di Hao Jingfang, autrice del romanzo premio Hugo “Pechino pieghevole”, in cui riporta d’attualità il conflitto di classe.

Produzioni ad alto budget favorite dal Governo

Dall’altra parte c’è anche l’importante placet del governo, che negli ultimi anni ha favorito una serie di produzioni ad alto budget. In alcune università sono sorte delle accademie dedicate al genere e, nel 2023, la città di Chengdu ha ospitato la convention mondiale della fantascienza. La Cina ha capito che le ambizioni di potenza devono essere accompagnate da una certa dose di soft power. Ecco allora che viene favorita la creazione di una nuova mitologia in cui i buoni che salvano il mondo sono i cinesi e non più gli americani. Un mondo dove i rapporti di forza non sono più quelli dei film di Hollywood. Tra gli esempi, The Wandering Earth, il film cinese più costoso di sempre e tratto da un altro racconto di Liu. La pellicola trasuda nazionalismo, in modo non poi così distante dai vari Rambo, Rocky IV o simili prodotti statunitensi dell’ultima fase della guerra fredda.

Forse anche per questo, la nuova serie Netflix ha suscitato reazioni in parte spinte dall’orgoglio patriottico, anche tra chi è felice del successo della serie. “Ora sono loro a copiare noi”, scrive qualcuno su Weibo, il twitter cinese. Segno, si auspica, dei tempi che cambiano. E di una Cina in grado di diventare una potenza culturale a livello globale. Anche se altri, i più critici, fanno fatica a distaccarsi dalla formula chiave che la nuova era di Xi ha promulgato su media, arte e intrattenimento: “Raccontare bene le storie dalla Cina”.

Telefonata tra Biden e Xi

Telegiornale 03.04.2024, 20:00

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