Giovanni Brusca, boia di Cosa Nostra, conosciuto per l’omicidio di Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, è stato liberato definitivamente a fine maggio, quando sono scaduti i quattro anni di libertà vigilata impostigli dalla magistratura. Dopo il suo arresto nel 1996, ed un primo falso pentimento, decise di collaborare con la giustizia.
Giovanni Brusca, arrestato nel 1996
L’uomo, detto “u Verru” (il porco) o “lo Scannacristiani” per la sua ferocia, è tristemente noto a causa della partecipazione, a detta sua, ad oltre 150 omicidi, tra i quali quelli del giudice Rocco Chinnici e del piccolo Giuseppe Di Matteo, morto nel 1996 sciolto nell’acido.
Proprio per la fama di assassino di Brusca questa liberazione ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica italiana, e non solo, sollevando anche diversi quesiti morali. Ne ha parlato con noi Nando dalla Chiesa, professore di sociologia della criminalità organizzata presso l’Università degli studi di Milano e figlio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
Potrebbe delineare la storia della legge sui collaboratori di giustizia?
Uno dei primi a ventilare la possibilità di estendere anche ai mafiosi pentiti la figura del collaboratore di giustizia fu mio padre (generale Carlo Alberto dalla Chiesa ndr). Arrivato a Palermo (terza volta per lui in Sicilia ndr) come prefetto, pensava che lo Stato italiano potesse ricreare con i mafiosi il rapporto che si era realizzato durante gli anni di piombo con i terroristi, i quali ricevevano dei premi per la loro collaborazione con lo Stato. Al tempo lo derisero, dicendo che il Generale non conosceva i mafiosi. Loro non avrebbero mai parlato. La legge, in seguito, è stata fortemente voluta da Giovanni Falcone (che con la collaborazione di Tommaso Buscetta è riuscito a delineare la struttura di Cosa Nostra per il Maxiprocesso ndr), ed è il frutto di una difficile lotta dello Stato italiano, il quale ha saputo opporre pressione sui mafiosi scardinando i loro privilegi. Si parla del loro potere esercitato nelle carceri, dei falsi certificati medici che li tenevano in ospedale. A quel punto hanno iniziato a parlare. La legge non è quindi un cedimento dello Stato italiano, bensì un successo!
Tratti giuridici
La legge sui collaboratori di giustizia è stata inserita nell’ordinamento italiano nel 1991, per tutelare le persone che, a causa della collaborazione con lo Stato italiano per “l’individuazione dei responsabili di gravissimi delitti e per l’acquisizione al processo di elementi probatori determinanti per la condanna”, sono esposte a gravi pericoli.
Questa norma ha introdotto un sistema di tipo premiale per i pentiti, offrendo a loro e ai loro famigliari di poter usufruire di un programma di protezione. Questo vale anche per i testimoni di giustizia (coloro che collaborano con le autorità senza far parte dell’organizzazione) e per le loro famiglie.
Nel 2001 sono state apportate modifiche alla norma, soprattutto per eliminare le incongruenze presenti nella legge del 1991 e riconoscendo una normativa autonoma ai testimoni di giustizia. Nel 2018 invece sono state rafforzate e personalizzate le misure di protezione (vigilanza, tutela fisica, assistenza, sostegno economico e reinserimento sociale).
La maggiore pressione esercitata dallo Stato italiano sui mafiosi e l’aumento delle collaborazioni con la giustizia si sono verificati proprio dal 1992, circa un anno dopo l’introduzione della legge. Lo sdegno popolare e la paura suscitati dall’uccisione di Falcone, uniti al pugno di ferro adottato dalle autorità, hanno contribuito in modo determinante alla diffusione delle collaborazioni.
Come funziona questa norma e perché Giovanni Brusca è stato liberato?
È una legge che concede uno sconto di pena molto forte per i mafiosi che decidono di collaborare con la giustizia e, come nel caso di Brusca, anche per dei reati gravissimi. Non prevede l’ergastolo, perché la collaborazione permette un abbattimento della pena e la continuazione del rapporto di collaborazione che, portato fino alla fine, risulta negli anni che sono stati computati per Brusca. La collaborazione, quindi, non permette di scontare una pena breve, gli anni sono stati comunque 25, non poco per l’Italia, che di fatto non conosce quasi l’ergastolo.”
Quali sono le implicazioni morali di questa liberazione?
Le implicazioni morali sono un nostro disagio. Sono il fatto che noi ne stiamo parlando, che siamo costretti a rivedere il senso di quella legge sui collaboratori di giustizia. È evidente che siamo un po’ imbarazzati, perché la crudeltà di Brusca è stata tanta. Non sono cose per cui si può dire ‘va bene così’. Sono cose dure da ricordare, disumane. Nonostante questi sentimenti però, i collaboratori di giustizia hanno impedito decine di morti, perché indicavano dove c’erano gli arsenali, i rapporti di potere dentro l’organizzazione, le logiche con cui venivano prese le decisioni, a volte anche dove erano i grandi latitanti. Non bisogna dimenticare il clima in cui è nata questa legge, anni in cui c’era una concentrazione altissima di morti, vittime innocenti di mafia. Dobbiamo pensare che quello sterminio è stato probabilmente fermato dai collaboratori di giustizia. Il numero delle vittime si riduce sempre di più, ma in quegli anni è stato un massacro continuo.

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Notiziario 05.06.2025, 14:00
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