Le politiche economiche e industriali promosse in Tunisia negli ultimi 50 anni, hanno orientato lo sviluppo verso monoculture, semi ibridi importati, sfruttamento intensivo delle materie prime, esportazioni ed estrazione della rendita. Un gran numero di contadini ha abbandonato le sementi tradizionali per acquistare semi ibridi importati. "Queste politiche hanno impoverito i contadini locali e beneficiato gli investitori dell'agribusiness e gli importatori stranieri di sementi. All'inizio, i piccoli agricoltori hanno seguito questo movimento, ma presto si sono resi conto che non era sostenibile perché i costi di produzione sono molto alti e prezzi di vendita molto bassi. Questo ha creato fratture sociali, economiche e ambientali”, secondo Layla Riahi, attivista, ricercatrice e membro del gruppo di lavoro per la Sovranità alimentare in Tunisia. Mentre il governo tunisino continua a portare avanti una politica di importazione del grano dall’est Europa, gettando sul lastrico i produttori di grano tunisino, c’è chi ha scelto di dedicarsi all’agricoltura biologica recuperando semi e piante locali proponendo così un’alternativa.
A farlo sono soprattutto donne di diversi villaggi, come Hayet Taboui, presidentessa dell’associazione Sidi Bouzitoun per la natura. La incontriamo nel Parco Nazionale di El Feija, inserito nel patrimonio Unesco. “Grazie alla salvaguardia dei semi abbiamo creato lavoro nel nostro giardino comunitario. La comunità del parco d’El Feija sopravvive con quello che produce”, spiega. Il suo progetto lotta contro gli effetti del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, che in Tunisia sono già realtà: quest'estate il paese nordafricano ha registrato un aumento medio stagionale della temperatura tra gli 8 e i 15 gradi a seconda della regione, così decine di incendi sono scoppiati nel paese. È con l’obiettivo di ritornare a coltivazioni resilienti che Fatiha Mosbahi ha deciso di tornare al suo villaggio natale, nelle campagne di Sidi Bouzid, e aprire una serra dove coltiva biologico recuperando antiche varietà di semi per poi distribuire le piante ai contadini della zona. “Coltivare locale costa di più, ma il prezzo che paghiamo dopo anni di agricoltura intensiva è ancora più alto”.
Arianna Poletti - Sara Manisera