“Il sogno del sogno di arrivare a Gaza”, da un lato, le “torture” subite, dall’altro. Ecco le prime dichiarazioni, al microfono della RSI, di Vanni Bianconi. Appena sbarcato a Ginevra con un volo dalla Turchia, il 48enne è uno dei tre ticinesi che erano sulle barche della flottiglia intercettata dalla marina israeliana, assieme a Fabrizio Ceppi, anche lui rientrato, e a Mehmet Türkkan, lui invece ancora detenuto, con altri nove svizzeri, nel carcere di Ketziot.
Poche persone sono state picchiate
Vanni Bianconi, partecipante alla Global Sumud Flotilla
“Il sogno del sogno di arrivare a Gaza. Quel sogno che è servito a far sì che il mondo guardasse quello che succede a Gaza con più attenzione e con più costernazione, con più indignazione”, ha detto Bianconi. “Che il mondo guardi come Israele tratta dei civili che cercano di far rispettare il diritto internazionale”.
Il ticinese ha quindi descritto cosa è capitato a lui e agli altri attivisti, dopo la cattura da parte dei soldati israeliani e lo sbarco ad Ashdod: “Arrivati al porto, io, che ero il responsabile della mia barca, sono stato preso, alzato di peso per le braccia tenute dietro e portato in questo modo come tanti altri in questa corte, in cui eravamo in centinaia, in ginocchio, senza poter alzare la testa”.
“E da lì in poi - ha proseguito Bianconi - sono partite delle vere e proprio torture. Non ci sono segni fisici, poche persone sono state picchiate. Però vere e proprie torture, usando la temperatura, le posizioni e soprattutto l’incertezza e le informazioni false. Senza sonno, senza cibo, senza acqua. Eravamo nel deserto del Negev, non abbiamo ricevuto una bottiglietta d’acqua e quindi questo era il modo in cui Israele, questa democrazia della regione, ci ha trattati”.

A sinistra, Fabrizio Ceppi abbraccia il figlio

SEIDISERA 05.10.2025 - La testimonianza dei partecipanti ticinesi alla Global Sumud Flotilla
RSI Info 05.10.2025, 18:14
Contenuto audio
Il figlio di Ceppi: “Molto deluso dal DFAE”
Per il secondo ticinese rientrato, Fabrizio Ceppi, a parlare al microfono di SEIDISERA è il figlio: “Sta bene, relativamente, nel senso che a lui diabetico in prigione hanno subito ritirato le insuline. A parte questo dettaglio sono molto contento del traguardo che hanno raggiunto, benché abbiano passato due giorni di inferno”.
Parole critiche vengono rivolte dal famigliare al DFAE: “Non abbiamo ricevuto nessun comunicato dal Dipartimento degli affari esteri. Penso a mia madre: almeno una telefonata per dire che si occupano delle persone sarebbe stato, penso, il minimo”. Ma anche, ha proseguito, “su quello che hanno fatto giù in Israele sono estremamente deluso. Penso che non abbiano fatto il necessario, soprattutto il primo giorno”. E cosi ha concluso: “Sono molto deluso, perché la Svizzera si proclama sempre grande diplomatica. È sempre molto pronta contro le ingiustizie. Nel caso di questa ingiustizia enorme, secondo me, avrebbero dovuto veramente fare molto di più”.