L’appuntamento è alle 7.45 del mattino. Il MoMA apre alle dieci e trenta. Il luogo dell’intervista l’ha scelto la comunicazione del museo. Quando si aprono le porte dell’ascensore del quinto piano, intravvediamo un Picasso, ma la nostra accompagnatrice procede spedita. Una sala poi un’altra, affrettiamo il passo, quasi sopraffatti da tanta bellezza: ancora Picasso, i cubisti, Chagall, le sculture di Brancusi, una ruota di Duchamp, Mondrian… Infine, eccoci arrivati. “Voilà, ci dice, the Water Lilies”. Le ninfee di Claude Monet. Tutte per noi.
Pochi istanti e davanti al trittico del laghetto di Giverny arriva Christophe Cherix, 56 anni, ginevrino. Per 16 anni ha collaborato al Museo d’arte e di storia di Ginevra, per due anni ne è stato il conservatore del Gabinetto delle stampe. Dal 2007 lavora al Museo d’arte Moderna di New York, dove ha curato diverse esposizioni come quella “Yoko Ono: One Woman Show” nel 2015 e l’ultima retrospettiva su Wifredo Lam, artista cubano, che durerà sino alla primavera. Nominato a marzo, Cherix è in carica da settembre. Sostituisce Glenn Lowry, direttore del MoMA per trent’anni, e lui pacato spiega il suo ruolo: “lo vedo su due piani: da un lato l’esperienza maturata in tanti anni da conservatore, mi permette di restare sempre vicino all’arte che presentiamo; dall’altro una visione più ampia e strategica sul futuro dell’istituzione”.
La sala dedicata ai pittori cubisti
Una vera e propria istituzione con quasi 900 dipendenti, un budget che sfiora i 200 milioni di dollari e oltre 2 milioni e mezzo di visitatori l’anno. Il MoMA non è solo grande, è pure influente; è il luogo dove l’arte moderna è diventata canone: pittura, design, fotografia e cinema messi insieme per spiegare come il mondo ha imparato a guardarsi in modo nuovo. Cherix ama citare il fondatore: “Un museo che ‘attraversa il tempo come una torpedine’, che si definisce davvero solo nell’incontro con il visitatore, qui e ora. Limitarci a raccontare 140 anni di storia, diventeremo un museo del passato e perderemmo i nostri valori essenziali”. Un tempo - quello dell’America 2025 - dove le istituzioni culturali sono spesso minacciate. Il suo predecessore aveva lanciato un allarme, Cherix ne raccoglie il testimone: “Stiamo vivendo un momento difficile per alcune istituzioni e credo che la nostra preoccupazione oggi sia come garantire le nostre funzioni fondamentali, garantire questa libertà di pensare al mondo nel modo più aperto possibile, indipendentemente dalle attività politiche o economiche che ci circondano”.
Una veduta esterna del MoMa
Dinanzi al proliferare delle immagini digitali e con il sapere a portata di clic, Cherix ricorda il nuovo ruolo del museo: “Con questa proliferazione delle esperienze digitali... Assistiamo a un ritorno all’esperienza fisica nel contatto umano. Vediamo una nuova generazione che viene al museo non solo per vedere le opere - per quella esperienza unica come quella di trovarsi dinanzi alle tele di Monet - ma anche per poterla vivere con gli altri”. Moltissimi continuano a venire al MoMA per le tele di van Gogh o le opere di Andy Warhol, ammette, ma “il nostro compito è quello di far loro iniziare la visita in quel momento. Siete venuti per quest’opera? Ora ve ne mostriamo altre, attraversando altre sale, per arricchire la vostra visione e riflettere insieme sull’arte”.
Il direttore Cherix davanti alle Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso
Il ruolo di un direttore è ben diverso di quello di un curatore, meno …romantico, ma Cherix quando gli si chiede qual è stata la sua prima volta al MoMA, qual è l’opera che lui ricorda, si emoziona a condividere un ricordo personale. Di quando da ragazzo era andato a vedere, al Museo Picasso di Parigi, Les Demoiselles d’Avignon, del viaggio in treno col fratello gemello e della sua sorpresa perché quell’opera non apparteneva al museo ma era “in prestito” dal Museo d’arte moderna newyorkese. Era la primavera del 1988 e per la prima volta quel dipinto lasciava l’America… Davanti all’opera nella sala 502, osserva le cinque figure dipinte da Picasso e ammette: “Un museo è anche questo: opere che ti formano, che ti aprono lo sguardo e restano con te nel tempo, come buoni amici”.






