Analisi

Dopo il Bürgenstock, tutto come prima

Occidente compatto, ma è fallito il tentativo di allargare il campo contro la Russia; Mosca e Kiev andranno avanti come fatto sino ad ora, convinte di poter prevalere sul terreno

  • 17 giugno, 05:44
  • 17 giugno, 07:48
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Nel frattempo, in Ucraina i combattimenti proseguono

  • Archivio Keystone
Di: Stefano Grazioli 

La dichiarazione finale della conferenza sulla pace al Bürgenstock non è stata sottoscritta dai membri dei BRICS, Brasile, India e Sudafrica, né dal blocco dei paesi del Golfo, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Unita alla assenze fondamentali di Russia e Cina e quelle meno rilevanti di tutti i paesi della SCO (Organizzazione di Shangai), la cornice evidenziata in Svizzera è quella dei due blocchi: quello occidentale trainato da Stati Uniti, Unione Europea, G7 e NATO, e quello che affianca la Russia, con la Cina e gli attori euroasiatici e del Grande sud, in aggiunta ad alcuni stati come India o Turchia che tentano un bilanciamento seguendo come linee guida i propri interessi nazionali e la loro proiezione sulla scacchiera internazionale. Questi ultimi due paesi hanno siglato il documento finale, ma nel contesto del conflitto hanno giocato sempre un ruolo autonomo, non allineato al fronte anti-russo. Il posizionamento di tutti i paesi sul conflitto ucraino e sui modi e i tempi per l’eventuale futura pacificazione rimanda alla nuova architettura multipolare degli equilibri mondiali in costruzione.

Obbiettivo mancato per l’Ucraina

Nelle intenzioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky l’incontro avrebbe dovuto rafforzare e allargare il campo contro la Russia, per mettere maggiore pressione a Mosca in vista di un futuro negoziato. Se da una parte, come in altre precedenti occasioni, il blocco occidentale trainato dagli Stati Uniti ha mostrato compattezza, il tentativo di coinvolgere gli altri grandi player non è riuscito. Dal piano di pace in dieci punti del presidente ucraino non sono stati presi in considerazione sin dall’inizio quelli più determinanti, a causa dell’impossibilità di trovare su di essi un consenso ampio, che invece si è avuto comunque sui tre elementi già anticipati alla viglia, cioè la sicurezza nucleare (monitoraggio della centrale di Zaporizha occupata dai russi), quella alimentare (vie di trasporto sul Mar Nero) e le questioni umanitarie (scambio prigionieri e restituzione bambini).

Soprattutto è stato messo in evidenza, in maniera diretta e indiretta, come era stato d’altra parte dichiarato dalla Svizzera, che il vero processo di pacificazione dovrà includere per forza di cose la Russia. In definitiva, più che gli schieramenti virtuali, a determinare la tempistica della road map verso la fine del conflitto sarà la situazione militare sul terreno. Al momento questa è favorevole alla Russia, che ha occupato parzialmente, oltre alla Crimea, quattro regioni dell’Ucraina: Zelensky ha rifiutato ancora una volta l’idea di negoziati sulla base dello status quo, respingendo le condizioni del Cremlino sull’eventuale risoluzione del conflitto.

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"Le divisioni sono questa volta maggiori e ricalcano i nuovi equilibri geopolitici mondiali in via di evidente ridefinizione"

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Doppia strategia russa

Vladimir Putin alla vigilia della conferenza al Bürgenstock aveva rilanciato la proposta di un pace sulla base del mantenimento dei territori ora occupati e sul futuro status neutrale dell’Ucraina. L’alleanza ucraino-occidentale ha bocciato l’iniziativa, irricevibile per Kiev, allo stesso modo di quella opposta che prevede negoziati con Mosca solo dopo il ritiro russo da Donbass e Crimea. Le posizioni della Russia e degli alleati occidentali sono in sostanza identiche alle rispettive prima del vertice, che però ha acuito la frattura tra i due blocchi sulla percezione del conflitto e sui punti cardine per la sua risoluzione. Il Cremlino va dunque avanti con la doppia strategia, da una parte della mano tesa, liquidata come farsa dall’Occidente, e dall’altra del prosieguo della guerra che in questa fase vede l’iniziativa in mano alle forze del Cremlino. Dalla conferenza in Svizzera non è arrivata una road map precisa, né a livello di tempi né di contenuti, su quello che potrà essere lo sviluppo verso un processo di pacificazione condiviso e ciò significa che ognuno andrà avanti come ha fatto sino ad ora, con Mosca e e Kiev convinte di poter prevalere sul terreno.   

Conflitti internazionali irrisolti

Il comunicato finale approvato al Bürgenstock ha riaffermato in ogni caso l’integrità territoriale dell’Ucraina, principio che Kiev e l’Occidente ribadiscono con fermezza. La questione della sovranità di un paese su quello che è considerato dal diritto internazionale il proprio territorio è rimasta però spesso irrisolta, anche in Europa: esempio classico quello di Cipro, con l’isola del Mediterraneo divisa dal 1974 tra la Repubblica di Cipro Nord, riconosciuta da un solo paese al mondo, la Turchia, e la Repubblica di Cipro, che fa parte dell’Unione Europea e si trova così de jure ad avere praticamente la metà del proprio stato occupato e, in maniera paradossale, controllato dalla Turchia, membro della NATO.

Altro caso è quello del Kosovo, paese nato dalla complicata eredità delle guerre balcaniche degli anni Novanta e divenuto indipendente nel 2008, riconosciuto da circa metà degli stati dell’ONU, ma non da alcuni appartenenti all’Unione Europea e nemmeno alla NATO, e da nessuno dei BRICS. La guerra in Ucraina e la sua difficile soluzione si inseriscono nel solco dei conflitti irrisolti che anche durante e dopo la fine della Guerra fredda hanno spostato i confini di alcuni paesi europei: la possibilità che passi molto tempo prima che si arrivi a una soluzione condivisa sono alte, considerando appunto che le divisioni sono questa volta maggiori e ricalcano i nuovi equilibri geopolitici mondiali in via di evidente ridefinizione.

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