Ticino e Grigioni

Brainrot: quando internet fa marcire il cervello

Video brevi, futili e senza senso, ma che sempre di più catturano l’attenzione dei più giovani... e possono impattare negativamente il loro sviluppo cognitivo

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Il lato oscuro dei social media

Il Quotidiano 08.12.2025, 19:00

Di: Quotidiano-Patrizia Pedevilla/Gi.Lo 

Brainrot, letteralmente putrefazione del cervello, è la parola del 2025 secondo gli esperti dell’Oxford Dictionary. Il termine si riferisce spesso a una categoria di video futili, solitamente generati dall’intelligenza artificiale e caratterizzati dal non-senso fine a se stesso.

Con “brainrot” si indica anche il deterioramento mentale causato dall’eccessivo consumo di questi brevi video. Nella trappola della dopamina, l’ormone della ricompensa, ci siamo caduti tutti, ma il fenomeno riguarda principalmente i più giovani, e persino giovanissimi: spesso sono i bambini a essere risucchiati nel vortice di video brainrot, surreali e insensati, il più delle volte costellati da volgarità e personaggi assurdi.

Ai microfoni del Quotidiano, alcune ragazze commentano il fenomeno dei brainrot: “Tante volte il telefono può essere un modo per staccare, in un momento di stress o così, poi però non si ha la voglia di fare qualcos’altro, tipo leggere un libro”. Anche il secondo commento va nella stessa direzione: “Ti distrae un po’ da quello che è il mondo esterno, cosa che può aiutare, ma che dopo un po’ ti rovina. Non vivi più quello che c’è all’esterno, non ne sai più niente, e quello è problematico”.

La fuga dalla realtà può diventare problematica particolarmente per i più giovani, che faticano maggiormente a trovare un equilibrio tra il digitale e il reale. Il perché lo spiega lo psichiatria Michele Mattia: “Nel periodo dell’adolescenza abbiamo quel meccanismo che viene detto della potatura dei neuroni. Noi nasciamo con circa 100 miliardi di neuroni e dovremmo arrivare ad averne più o meno 86 miliardi. Questi 14 miliardi dobbiamo potarli, un po’ come la vigna, dobbiamo togliere le foglie. Se non vengono tolte bene, si crea una situazione dove il ragazzo non è più in grado di tollerare le emozioni, le relazioni con gli altri, la frustrazione, e perde anche la capacità di gestire le pulsioni e l’aggressività. Questo crea dei condizionamenti importanti perché modifica di fatto quella che è la possibilità di raggiungere degli obiettivi futuri”.

Al presente non ci sono studi scientifici che confermino senza alcun dubbio danni al sistema psichico causati dal cellulare. Ma c’è chi si interroga sulla necessità di attendere questi dati per iniziare a tappezzare i danni che sono ormai evidenti: i social media hanno un’impatto sulle esperienze basiche che noi tutti facciamo, come dormire, mangiare bene, fare attività fisica, avere relazioni interpersonali e avere degli hobby; queste esperienze contribuiscono a un benessere psichico, e non serve la scienza per notare l’impatto negativo dei social, sostiene il direttore del Settore salute pubblica della Facoltà di medicina dell’USI, Emiliano Albanese.

“I buchi nel cervello, che è un termine evidentemente non scientifico, non dobbiamo aspettare di volerli misurare, perché l’alterazione di questo equilibrio è ciò che noi conosciamo. Sappiamo che l’assenza di queste esperienze fa emergere patologie. I social media alterano questo equilibrio ed è sufficiente per affermare che non ci serve misurare qualcosa in particolare nel cervello per iniziare ad avere degli atteggiamenti cautelativi”, continua Albanese.

L’inizio di questo abuso già si sente. Giovani senza passioni, incapaci di vivere, affrontare difficoltà e insuccessi. “Sicuramente aumenta la quota d’ansia - fa notare lo psichiatria Michele Mattia - Siamo in un mondo che crea e produce ansia, abbiamo una difficoltà maggiore nella gestione dell’emozione, siamo all’interno di un presentismo digitale continuativo, non abbiamo più la capacità di differenziare la ricompensa che può arrivare non immediatamente. Per esempio, se io studio la gratifica può arrivarmi con la promozione alla fine dell’anno. Anche la capacità di differenziazione della ricompensa si riduce di molto, e questo crea una difficoltà nella gestione delle frustrazioni e nel tollerare anche i no che possono arrivare”.

Le testimonianze dei giovani ai microfoni della RSI sono molteplici: chi nota che è diventato impossibile staccarsi dallo smartphone perché ce l’hanno tutti, e tutto passa da lì, e chi già vede nei propri fratelli o parenti più giovani le conseguenze di questo utilizzo delle nuove tecnologie. In ogni caso, emerge che siamo tutti toccati dall’utilizzo che decidiamo di fare della tecnologia e che il brainrot, forse, è fenomeno più invasivo di quanto dà a vedere.

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