
Oggi, la storia 20.03.15
Oggi, la storia 20.03.2015, 07:05
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Nell’odierno clima d’incipienti elezioni politiche si rinnova il consueto appuntamento della campagna elettorale: dibattiti, confronti, proclami, promesse... tutto all’insegna della propaganda di partito. Due sono le parole chiave: la prima è “candidatura”, termine che evoca la toga bianca con cui gli aspiranti alle cariche pubbliche (i candidati, appunto) si presentavano nelle liste elettorali dell’antica Roma: candidi, immacolati e puri. O almeno così si sperava, come del resto si continua ingenuamente a sperare anche oggi. La seconda è “propaganda”, una forma gerundiva del verbo latino propagare, che si riferisce ai messaggi che “devono essere diffusi e propagati”, in questo caso quelli elettorali.
La campagna per l’elezione dei Consiglieri di stato si serve per lo più di tre canali: il dibattito televisivo, il dibattito giornalistico, e i manifesti affissi per le strade. Quest’ultimo canale di propaganda è antichissimo, e ci riporta agli usi degli antichi romani, i quali, oltre prediligere i dibattiti comiziali nel foro e il contatto diretto con i futuri elettori, diffondevano messaggi attraverso i manifesti: l’epigrafia antica ci ha restituito numerose testimonianze di iscrizioni che presentano un candidato e sollecitano gli elettori ad accordare il loro voto. Gli “attacchini” di un tempo erano dei veri e propri scriptores di professione, che nella tranquillità notturna svolgevano il loro mestiere scortati da un dealbator (imbianchino), da uno scalarius (portatore di scala) e da un lanternarius (portatore di lanterna). Alla luce del giorno, poi, sarebbero stati visibili i programmata, che consistevano in brevissimi testi di presentazione dei candidati con la richiesta di voto, sovente espressa con la formula OVF: oro vos faciatis (“vi prego di eleggere”). Presentati come digni rei publicae (“degni del compito di amministrare lo stato”), i candidati erano descritti come campioni di onestà, di saggezza e di competenza attraverso formule come vir bonus et egregius, verecundissimus, dignissimus, benemerens, integer, innŏcens, tanto per citare un repertorio ampiamente attestato, mentre le promesse elettorali erano lasciate alle concioni dei comizi popolari, dove dominava una retorica istituzionalizzata costruita su promesse politiche che non sarebbero mai state mantenute.
Insomma, si può dire che cambiano le tecnologie di comunicazione, ma non l’uomo nella sua più genuina humanitas: do ut des, io mantengo una promessa, se tu mi eleggi. Salvo poi scordarsi delle promesse, come testimonia un antico apoftegma: post festum fatuus superest! Dopo la festa si rimane gli stupidi di prima, o, come recita un noto proverbio, “passata la festa, gabbato il santo”!