L’inchiesta pubblicata venerdì dal quotidiano Le Temps sull’attentato sventato a Ginevra, indubbiamente fa sorgere qualche apprensione: il grande deposito di idrocarburi di Vernier, situato in una zona fortemente popolata a due passi dall’aeroporto era l’obiettivo individuato per un atto terroristico. L’attentato, previsto per il mese di aprile o maggio del 2019, sarebbe stato orchestrato da uno jihadista svizzero a partire dalla Siria ma non è stato fortunatamente portato a termine grazie anche ai servizi segreti statunitensi che hanno informato del progetto quelli svizzeri.

Oltre a Daniel D., questo il nome del combattente svizzero partito per il cosiddetto stato islamico nel 2015 ed ora incarcerato con altri due concittadini dai combattenti curdi, ci sono gli amici che sono rimasti a Ginevra, anche loro frequentatori della moschea di Petit-Saconnex. Daniel D. interrogato dai servizi segreti svizzeri nega d’aver cospirato ma la minaccia non è scomparsa tanto che il Consigliere di Stato ginevrino Mauro Poggia ha affermato che una ventina di persone sono sotto sorveglianza nel suo Cantone.

Il jihadismo svizzero e quello europeo dopo la caduta del califfato si sta riorganizzando? Stando allo studioso del jihadismo francese Hugo Micheron, che ha parlato con 80 jihadisti nelle carceri francesi, sono delusi dallo stato islamico, ma non dal jihadismo. Anche se gli attentati sono drasticamente diminuiti, il movimento non è in declino e sta preparando le prossime fasi.

Per discuterne a Modem intervengono:

Jean-Paul Rouiller, Responsabile del Centro di analisi del terrorismo a Ginevra;

Lorenzo Vidino, Direttore del Programma sull'estremismo alla George Washington University, a Washington DC

Intervista registrata a Hugo Micheron (autore di “Le Jihadisme français. Quartiers, Syrie, prisons”, Gallimard, 2020)

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