Società

“Ragazzo” tutta la vita

Un ricordo di Mario Spinella a trent’anni dalla sua scomparsa

  • 15.03.2024, 09:47
  • 15.03.2024, 14:05
Mario Spinella in una riunione di redazione della rivista “Alfabeta”

Mario Spinella in una riunione di redazione della rivista “Alfabeta”

Di: Romano Giuffrida 

I capelli lunghi bianchi che gli scendevano sulle spalle, le lenti con la montatura sottile di metallo che si frapponevano a occhi curiosi e intensi, il sorriso vivace con il quale sembrava voler sdrammatizzare il rigore delle sue parole, la sigaretta perennemente accesa: a osservarlo, ricordava un poeta della beat generation della San Francisco degli anni Cinquanta e Sessanta.

Gli amici, così come avevano sempre fatto, lo chiamarono “il ragazzo” anche quando, nell’aprile del 1994, celebrarono il rito funebre per la sua scomparsa all’età di settantaquattro anni. Non sbagliavano perché Mario Spinella, uno degli intellettuali italiani engagé più importanti della seconda metà del secolo scorso, era rimasto ragazzo “dentro” per tutta la sua vita.

La sua energia, l’ entusiasmo, lo sguardo in perenne tensione tra «l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione» ereditato da Antonio Gramsci (al cui studio Spinella dedicò tutta la vita), erano scemati solo poco tempo prima di morire, quando, approssimandosi le elezioni politiche italiane del 1994, percepì la forte tendenza dell’elettorato verso i partiti di destra. «Aveva l’incubo di finire dentro il fascismo», dichiarò il suo amico e poeta Francesco Leonetti.

Brigata Garibaldina “Sinigaglia” con la quale combatté Mario Spinella sui Monti Scalari

Brigata Garibaldina “Sinigaglia” con la quale combatté Mario Spinella sui Monti Scalari

Mario Spinella, il fascismo lo aveva conosciuto e combattuto durante la Resistenza, prima come membro clandestino dei Gruppi di azione partigiana (GAP), poi insieme ai partigiani che combattevano sui Monti Scalari, con i quali partecipò alla liberazione di Firenze.

Spinella nei decenni successivi alla guerra aveva sempre sostenuto che il fascismo, anche se sconfitto, in Italia non era mai scomparso. Nel suo libro Memorie della Resistenza scritto nel 1961 (Einaudi tascabili, 1995) a proposito dei fascisti scrisse: «Li ritroveremo, con il sorriso e con la grinta, sul pianerottolo di casa nostra, ci urteranno negli autobus o nei tram, ci sederanno accanto al cinematografo. Stolidi e furbi, si rintaneranno nelle cellule del corpo della nazione, e di nuovo, poco a poco, potranno farla marcire». Ecco perché, da “ragazzo instancabile” qual era, Spinella per tutta la sua vita non si è risparmiato nel mettere in guardia soprattutto i giovani, che per lui rappresentavano la grande speranza di un cambiamento globale. Con loro, a partire dagli anni Sessanta aveva discusso, ma soprattutto li aveva ascoltati nelle scuole e nelle università occupate, nei centri sociali, nei convegni. Lui, che fino ai “fatti di Ungheria” del 1956, aveva avuto un background da marxista “istituzionale” (tra gli altri impegni, era stato collaboratore del segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, nonché “dirigente formatore” alla Scuola quadri dello stesso partito), nei “nuovi giovani” della contestazione del ’68 aveva scoperto un nuovo modo di immaginare il comunismo.

Manifestazione hippies a Washington contro la guerra in Vietnam, 15 novembre 1969

Manifestazione hippies a Washington contro la guerra in Vietnam, 15 novembre 1969

Contrariamente a ciò che ci si potrebbe aspettare, quello che Spinella con i giovani scoprì, non fu il “nuovo comunismo” del «Viva Lenin! Viva Stalin! Viva Mao Tse-Tung!» che provocatoriamente rimbombava nelle strade e nelle piazze, ma quello «simbolico, minoritario, ma di una significatività eccezionale» (come lui stesso lo definiva), del movimento hippies statunitense. Oltre alle forme di «desessualizzazione, deeconomicizzazione, deterritorializzazione o nomadismo» secondo Spinella l’elemento più importante di quel movimento consisteva nel fatto che i giovani hippies rifiutassero la società dei consumi e «la macchina che c’è dietro». La “diserzione” dal consumismo in una società fondata sul consumo, Spinella la considerava irrinunciabile per ipotizzare un’inversione di rotta delle politiche dissennate che già all’epoca portavano al disastro il pianeta. Come sempre, ancora ai giovani affidava questa sua certezza, perché ai giovani aveva sempre creduto, anche negli anni ’80.

Goa Club, discoteca negli anni Ottanta

Goa Club, discoteca negli anni Ottanta

Mentre i media e gli opinionisti parlavano e scrivevano di “riflusso” giovanile dopo gli anni della contestazione, Spinella si sforzava invece di analizzare più a fondo i fenomeni sociali e ciò lo portò, ad esempio, a leggere nella “febbre del sabato sera”, ovvero nella passione dell’epoca per le discoteche e il ballo, non solo un fenomeno di “evasione”, ma anche «una rottura, dal ritmo tradizionale della vita (…) una ulteriore autonomizzazione della vita giovanile» e come tale la considerava positiva. Così, con altrettanta attenzione, si dedicava ai “mondi” dei giovani: ai loro gerghi, alla loro letteratura, ai loro giornali autoprodotti che ribaltavano «questo italiano standard di massa quale soprattutto si esprime nei media, giornali, radio, televisione, (…) un linguaggio snervato, depauperato, un linguaggio povero, poco espressivo ». Amava infatti il ritmo, nella scrittura come nella musica, perché, sosteneva, al pari di ciò che avviene nella musica jazz e nel rock, determina “espressività” individuale contro l’acquiescenza alla standardizzazione omologante.

Mario Spinella in una riunione di redazione della rivista “Alfabeta”

Mario Spinella in una riunione di redazione della rivista “Alfabeta”

Durante un’intervista degli anni Ottanta, Spinella ebbe a dire: «oggi riaffiorano tendenze melodiche nel rock, io le considero molto criticamente perché le ritengo come una delle forme con cui si manifestano le controspinte conservatrici». In questa frase non solo è racchiuso il senso dell’autodefinirsi «uno dei pochi che ancora credono nella necessità di una trasformazione radicale», ma anche l’essenza di quell’agire intellettuale e politico che Mario Spinella ha profuso in tutto ciò che ha fatto: nelle riviste che ha fondato o di cui è stato co-fondatore insieme ai più importanti intellettuali italiani e stranieri dell’epoca: Utopia, Alfabeta, Il piccolo Hans (quest’ultima impegnata a coniugare insieme marxismo e psicanalisi). Un agire intellettuale e politico che ha poi tradotto, oltre che nei saggi di analisi marxista, anche nei suoi romanzi: da Sorella H.,libera Nos del 1968 a Cospiratio Oppositorum del 1971 a Le donne non la danno del 1980 a Lettera da Kupjansk con cui vinse il Premio Viareggio nel 1987. L’ultimo, pubblicato postumo, da “ragazzo ribelle”, lo aveva intitolato Rock. Sarà un caso?

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