C’è chi vince per entrare nella storia e chi, come Gino Bartali, pedala per cambiarla. Campione sulle strade e gigante nell’anima, il “Ginettaccio” fu molto più di un ciclista: fu un simbolo di lealtà, fede e coraggio in un’Italia ferita dalla guerra. Mentre il mondo crollava, lui si ostinava a pedalare, non solo per tagliare traguardi, ma per salvare vite.
L’ultimo battito pulsò nel suo cuore nel primo pomeriggio del 5 maggio 2000 all’età di 85 anni, nella sua casa di Piazza Cardinale Elia Dalla Costa a Firenze. Un cuore impavido quello di Bartali, ricordato come il più grande ciclista italiano (insieme al suo antagonista storico Fausto Coppi), vincendo tre Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946), due Tour de France (1938 e 1948), due Giri di Svizzera (1946 e1947), tre Giri di Lombardia (1936, 1939 e 1940) e quattro Milano-Sanremo (1939, 1940, 1947 e 1950).
La vita
Nato in provincia di Firenze nel luglio del 1914 in una famiglia modesta, Gino era il terzo di quattro figli e sin da giovanissimo si rese utile economicamente lavorando in una fattoria e aiutando la madre con i ricami. A soli undici anni dovette trovarsi un mezzo di trasporto per raggiungere la scuola a Firenze: la sua prima bicicletta, acquistata con i risparmi del suo lavoro e con l’aiuto della famiglia. Proprio grazie alle pedalate sulle strade collinari della Toscana, Bartali iniziò a scoprire il proprio talento che presto si trasformò in passione agonistica, tanto che nel 1931 a soli 17 anni ottenne la sua prima vittoria.
Divenne professionista nel 1935 e l’anno seguente si aggiudicò già il suo primo Giro d’Italia. Costretto dalla Federazione Ciclistica Italiana nonostante le sue esitazioni, partecipò al Tour de France nel 1938 per promuovere l’immagine del ciclismo italiano a livello internazionale, vedendo il regime fascista, ormai al potere, lo sport come un mezzo per affermare la superiorità della razza italiana e del Fascismo stesso. Bartali vinse il Tour, ma rifiutò di dedicare la vittoria a Mussolini, e al suo ritorno in patria non fu quindi celebrato come l’eroe che invece fu.
Al Tour de France del 1948
Con l’entrata dell’Italia in guerra il 10 giugno 1940, Bartali fu richiamato alle armi, ma a causa di un’aritmia cardiaca non fu destinato al fronte, bensì assegnato al ruolo di staffetta. Questo gli permise di continuare a usare la bicicletta e, di rimando, anche negli anni successivi poté non solo allenarsi, ma anche gareggiare in competizioni. Bartali però fece molto più di questo: dotato di profonda saggezza e di una forza d’animo incrollabile, tra il 1943 e il 1944 sfruttò l’immunità diplomatica guadagnata per meriti sportivi e si rese protagonista di numerose azioni eroiche, mettendo a rischio la propria vita. Collaborò con una rete clandestina che salvò centinaia di ebrei dalla deportazione, grazie al suo ruolo di staffetta e la sua fama di campione trasportò infatti documenti falsificati nascosti nei tubi della sua bicicletta nella la tratta tra Firenze e Assisi, senza destare sospetti. E quelle carte d’identità contraffatte si rivelarono decisive per permettere a molte persone di sfuggire alle persecuzioni naziste (Gino Bartali, il campione che salvò gli ebrei).
Per questo suo straordinario impegno e coraggio durante la Seconda Guerra Mondiale, a Gino Bartali sono state conferite due onorificenze postume: la Medaglia d’Oro al Valor Civile (2005) - ossia una delle più alte onorificenze italiane per atti di coraggio civile, per il suo ruolo determinante nella salvezza di numerose persone – e il titolo di “Giusto tra le Nazioni” da Yad Vashem (2013) - l’ente israeliano incaricato di preservare la memoria della Shoah.

Gino Bartali all'età di 21 anni (1935).
Gli anni del conflitto e il coinvolgimento nella Resistenza lasciarono un segno profondo in Gino Bartali, emotivo quanto fisico, tanto che dovette affrontare grandi sforzi per tornare ai livelli atletici di un tempo. Ci riuscì e, malgrado le difficoltà, trionfò nuovamente nel Giro d’Italia del 1946, così come due anni più tardi compì un’impresa memorabile sulle salite del Tour de France, conquistando nuovamente la vittoria nel 1948, a dieci anni di distanza dal suo primo trionfo in quella corsa. Aveva quasi 34 anni e quell’impresa non fu solo la sua massima consacrazione sportiva, ma aiutò anche a salvare il Paese sull’orlo di una guerra civile. Fu infatti un periodo di forte tensione sociale a causa dell’attentato al capofila comunista Palmiro Togliatti, e con la sua vittoria Gino contribuì in modo significativo a smorzare gli animi e a creare una maggiore coesione tra la popolazione.
Seguirono poi le ultime stagioni agonistiche, fino al 28 ottobre 1954 quando all’età di quarant’anni Bartali svolse la sua ultima gara, chiusa anch’essa con una vittoria. L’annuncio ufficiale del ritiro avvenne il 9 febbraio 1956, proseguendo poi la sua attività come allenatore e opinionista. Una carriera onorata nel 1977 dal Premio Italia “come maggior campione ciclista vivente”.
Campioni per sempre, il ritratto di Fausto Coppi e Gino Bartali (05.05.2020)
RSI Sport 05.05.2020, 08:00
Bartali-Coppi: una storica rivalità
Quando nel 1945 Bartali riprese l’attività agonistica, iniziò anche la serie di sfide epiche con l’altro grande campione del pedale, Fausto Coppi, fatto prigioniero in Africa nel periodo bellico. Nacque una straordinaria rivalità sportiva, che talvolta arrivò anche a degenerare in atteggiamenti antisportivi come accadde durante il campionato del mondo nei Paesi Bassi (1948): i due si ostacolarono a vicenda a tal punto da subire il ritiro forzato dalla gara, squalificati poi per un mese dalla Federciclismo. Una competizione molto raccontata e forse spesso esagerata, ma che agli occhi degli Italiani non si limitò alle vicende sportive, acquistando anche un sapore politico. Con le prime elezioni della neonata Repubblica Italiana, Coppi e Bartali diventarono infatti gli emblemi dei due principali partiti in lizza: il Partito Comunista Italiano - impersonato da Coppi, laico e dalle ispirazioni socialiste - e la Democrazia Cristiana - rappresentata da Bartali, con la sua devozione e i suoi riti legati alla tradizione popolare.
La loro rivalità culminò nel luglio 1952 quando Fausto Coppi e Gino Bartali si resero protagonisti di uno dei gesti più iconici e misteriosi della storia dello sport. L’episodio, fissato per sempre in uno scatto fotografico durante la salita al Col du Galibier (o forse al Col du Télégraphe) durante il Tour de France, diventò un simbolo del fair play, valore oggi universalmente riconosciuto ma che, ai tempi dei due campioni, era tutt’altro che scontato, e spesso disatteso. All’epoca, partecipavano al Tour le squadre nazionali e non quelle dei club, fatto che obbligò Coppi e Bartali a correre fianco a fianco, pur essendo antagonisti. E proprio nel momento di reciproca difficoltà, durante una tappa, si consumò il celebre scambio della borraccia; chi la porse all’altro non è mai stato chiarito, entrambi mantennero il silenzio fino alla fine dei loro giorni, ma quel gesto tanto semplice quanto potente rimane una preziosa eredità di una delle più affascinanti rivalità sportive di tutti i tempi.

I due ciclisti italiani ritratti al Tour de France del 1952
«Eravamo avversari, ma ci volevamo bene» ammise in un’occasione Bartali; un sentimento che emerse chiaramente già a Zurigo nel 1946, quando i due si accordarono tacitamente per regalare un po’ di gioia agli emigrati italiani in Svizzera, correndo da alleati, staccando tutti gli altri, mentre i loro connazionali piangevano di felicità ai lati della strada.
In sua memoria
La vita di Gino Bartali è stata narrata decine, centinaia, migliaia di volte in articoli, interviste, testimonianze e libri, firmati tanto da chi lo conobbe superficialmente, quanto da chi ne assaporava le sfaccettature private; e poi ci sono le sue stesse parole, impresse in una commedia fiorentina datata 1955, su soggetto di un caro amico di Bartali, l’imprenditore nel mondo delle moto Roberto Stavini. Un copione di una trentina di pagine che svela, ancora una volta, un lato inedito del mitico Gino: “Venti anni dopo… di Gino Bartali”, un viaggio attraverso la carriera di Bartali ricostruita passo dopo passo con il suo stesso contributo; ogni vittoria, ogni impresa sportiva narrata attraverso gli occhi e le voci della sua città, Firenze, che partecipa con entusiasmo, emozione e orgoglio alla sua storia.

Gino Bartali e Fausto Coppi, 1940.
Il “gigante delle montagne” per le sue leggendarie scalate sulle Alpi e sui Pirenei, l’“uomo di ferro” per la sua incredibile resistenza agli sforzi, e soprattutto il “Ginettaccio”, per le peculiarità caratteriali: brontolone, critico, ribelle e indomabile, ripetendo spesso che «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». E d’altro canto c’era il Bartali privato, timido e riservato; «un toscanaccio che poteva apparire burbero» come disse la moglie Adriana «e invece era dolcissimo e anche timido. Solo che non lo dava a vedere perché non voleva mostrare le sue debolezze, che poi erano anche le sue virtù (…)» (C’erano una volta/ Gino Bartali).
Un uomo onesto, religioso, fedele ai valori famigliari e indubbiamente altruista, senza però il desiderio di una conferma pubblica: amava infatti ripetere che «il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca». Proprio il figlio, Andrea Bartali, affermò che per molto tempo suo padre non raccontò a nessuno, nemmeno alla sua famiglia, degli oltre 800 ebrei che stava salvando, e non solo per motivi di sicurezza personale, ma proprio per le sue convinzioni morali.
Un uomo e insieme una leggenda, celebrato anche in tv e al cinema, come ad esempio con “Gino Bartali: il campione e l’eroe” nel 2016 e “Il Vecchio e il Tour” nel 2018, ma anche nella miniserie tv prodotta dalla Rai “Gino Bartali – L’intramontabile”; e poi lo stesso Bartali, che interpretò se stesso in “Totò al Giro d’Italia” (1948) e “Femmine di lusso” (1960).
In occasione del venticinquesimo anniversario dalla sua scomparsa, a ridargli vita sarà però anche l’attore hollywoodiano Miles Teller nel film biografico intitolato semplicemente “Bartali”; una pellicola presentata ufficialmente a Berlino durante l’European Film Market lo scorso febbraio, diretta dal duo di registi premi Oscar Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin.
«Non vedo l’ora di portare in vita la storia di Gino Bartali” ha asserito Teller «non era solo una leggenda del ciclismo, ma un vero eroe che ha rischiato la propria sicurezza per aiutare chi ne aveva più bisogno».