Storia

Un articolo per la parità

Nel 1981 venne finalmente inserito l’articolo costituzionale a garanzia della parità tra uomo e donna, un’impresa femminile non ancora del tutto compiuta

  • Ieri, 08:13
14 giugno.jpeg

Sciopero delle donne, Adriano Crivelli, Fondazione Pellegrini Canevascini (14 giugno 1991).

  • lanostraStoria.ch
Di: Lisa Fornara 

In Svizzera, il 14 giugno, le donne scendono in piazza per manifestare. Ma perché proprio in questa data? Per scoprirlo dobbiamo tornare a cinquant’anni fa, nel 1975, quando le Nazioni Unite indissero l’Anno internazionale della donna e convocarono, a Città del Messico, la prima Conferenza mondiale sulle donne. A conclusione dell’evento vennero adottati due importanti documenti: la «Dichiarazione sull’uguaglianza delle donne» e un «Piano mondiale d’azione», la cui attuazione venne sostenuta dalla proclamazione, per il periodo 1976-1985, del «Decennio Onu per la donna: uguaglianza, sviluppo e pace».

In questo periodo si tennero altre due Conferenze mondiali sulle donne: la prima a Copenaghen nel 1980, in cui si discusse la Convenzione sull’eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti delle donne del 1979 (CEDAW), ratificata dalla Svizzera solo 17 anni dopo; e la seconda a Nairobi nel 1985, in cui si prese atto del mancato raggiungimento degli obiettivi di equità di genere prefissati e si promossero ulteriori strategie per favorirne un’attuazione concreta.

Anche in Svizzera, nel 1975, si organizzarono numerosi eventi per celebrare l’Anno internazionale della donna, tra cui il «Congresso svizzero per la difesa degli interessi delle donne» a Berna. Erano passati solo quattro anni dall’ottenimento del suffragio femminile a livello federale nel 1971 e alcuni Cantoni, come Appenzello Interno, non permettevano ancora alle donne di esercitare pienamente i diritti politici. Nonostante ciò, una parte del movimento femminile elvetico si riteneva soddisfatta e credeva che la conquista del voto sarebbe stata sufficiente per giungere a una reale parità. Altre, meno ottimiste e intenzionate a portare avanti una lotta volta a garantire l’uguaglianza, guardavano con sospetto alle ragazze più giovani, coinvolte nei gruppi femministi degli anni Settanta e impegnate a rivendicare, con metodi inconsueti e sfrontati, nuovi diritti e maggiori libertà in tutti gli ambiti della vita.

Il Congresso di Berna fu un’occasione di confronto tra le diverse sensibilità femminili e femministe dell’epoca. Le ragazze criticarono la manifestazione ufficiale, che ritennero un’emanazione patriarcale in cui le rivendicazioni delle donne erano accettate solo se conformi al mantenimento dell’ordine sociale e pure perché le promotrici si erano rifiutate di trattare il tema dell’aborto. Le femministe, per protesta, organizzarono parallelamente un «contro congresso» per poi irrompere in quello ufficiale, impadronirsi del microfono e chiedere, tra le altre cose, il diritto di interrompere una gravidanza e la distribuzione gratuita degli anticoncezionali nelle scuole. Le giovani militanti suscitarono in molte delle partecipanti simpatia e alla fine della manifestazione nacque l’esigenza condivisa di promuovere un’iniziativa popolare, che permettesse di inserire nella Costituzione un articolo a garanzia dell’uguaglianza di trattamento tra uomo e donna.

Il Raduno Nazionale per la Parità Berna il 7 giugno 1980

Il Raduno Nazionale per la Parità di Diritti tra Uomini e Donne a Berna il 7 giugno 1980.

  • KEYSTONE/PHOTOPRESS-ARCHIV/Str

Fu così che le donne, per la prima volta da quando erano divenute cittadine attive, sfruttarono gli strumenti della democrazia elvetica. Subito venne costituito un comitato interpartitico e aconfessionale per la parità di diritti tra uomo e donna, presieduto da Lydia Benz-Burger. La raccolta di firme venne delegata ai diversi gruppi cantonali, ma non ovunque si riuscì a organizzare un reale sostegno. Le motivazioni addotte per convincere a sottoscrivere l’iniziativa erano diverse e andavano dai principi di dignità e pari opportunità ad altre decisamente più pragmatiche e legate alle ingiuste disparità salariali e formative, argomenti che facevano presa soprattutto sulle donne. Il 30 novembre 1976 l’iniziativa venne depositata con 54’000 firme, di cui 1’200 provenienti dal Ticino.

La proposta di riforma costituzionale voleva contrastare la condizione subordinata delle donne nella famiglia, nel lavoro, nell’istruzione e nella retribuzione professionale. In effetti, negli anni Settanta, le discriminazioni esistenti erano ancora molte: la scuola prevedeva percorsi differenziati per maschi e femmine, con l’obbligo per queste ultime di frequentare lezioni di economia domestica; nel matrimonio le mogli potevano avere un impiego e gestire i propri beni solo con il consenso del marito e, se sposate con uno straniero, perdevano automaticamente la cittadinanza svizzera. Ma le disuguaglianze più evidenti e inique erano legate al mondo del lavoro, dove a parità di mansioni e di formazione le differenze salariali potevano arrivare addirittura al 50%.

Nel 1979 il Consiglio federale, nel suo messaggio concernente l’iniziativa popolare per l’uguaglianza tra uomo e donna, raccomandò di respingere il progetto proponendo un controprogetto che riprendeva i punti essenziali delle promotrici, ma eliminava la disposizione transitoria che pretendeva l’attuazione della parità entro cinque anni dall’introduzione dell’articolo costituzionale. Persuase dal timore che un’opposizione avrebbe potuto pregiudicare l’esito della votazione, la maggior parte delle donne propesero per il compromesso e accettarono la controproposta, anche perché non era ancora possibile approvare in votazione sia l’iniziativa sia il controprogetto.  

Il 14 giugno 1981 oltre il 60% delle persone che si recarono alle urne accettò l’articolo costituzionale 4bis (dal 1999 articolo 8), che sanciva la parità tra i sessi, rispondendo in questo modo alle più elementari istanze di giustizia sociale. In Ticino il sostegno all’iniziativa fu schiacciante: 28’440 i voti favorevoli contro 14’447 contrari.

Così, da quel giorno, nella nostra Costituzione esiste l’articolo 8 che recita:

Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.

A distanza di decenni la tanto anelata uguaglianza resta, purtroppo, solo formale. È sufficiente dare un’occhiata alle statistiche federali per capire come le discriminazioni siano ancora un fattore sociale, culturale, politico ed economico che penalizza soprattutto le donne. In media queste ultime guadagnano il 16,2% in meno degli uomini a parità di impiego e, nonostante siano la maggioranza del corpo studentesco negli atenei svizzeri, le loro scelte formative sono ancora tradizionali e indirizzate alle scienze umane e alle professioni sanitarie. Solo il 17% del personale specializzato in tecnologie dell’informazione e della comunicazione è femminile. Le donne che sono impiegate a tempo parziale sono il triplo degli uomini e si fanno carico della maggior parte del lavoro domestico e di cura. Anche per questo sono sottorappresentate nei ruoli dirigenziali, ricevono rendite pensionistiche più basse e sono più esposte al rischio di povertà. Sono anche le principali vittime di reati violenti, soprattutto in ambito relazionale e familiare.

E sono questi, tra gli altri, alcuni dei motivi per cui oggi, 14 giugno 2025, le donne svizzere si mobiliteranno in tutto il Paese per rivendicare ancora, a distanza di decenni, l’attuazione concreta dell’articolo costituzionale sulla parità dei sessi.

13:16

Se Elvezia incrocia le braccia

RSI Archivi 14.06.1991, 16:52

Ti potrebbe interessare