Tra gli attori esterni che giocano un ruolo importante nella guerra tra Israele e Iran c’è sicuramente la Russia. Negli ultimi anni le relazioni tra Mosca e Teheran si sono sempre più consolidate in una partnership strategica, evidente anche e soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le massicce forniture militari iraniane, in particolare droni e missili, impiegati nel conflitto nell’ex repubblica sovietica. All’inizio di quest’anno i due Paesi hanno inoltre firmato un accordo di cooperazione ventennale su vari livelli, che non ha compreso però un’intesa di assistenza che obblighi la Russia a intervenire militarmente in Iran in caso di necessità. Anche per questo è escluso nello scenario attuale qualsiasi appoggio diretto di Mosca a Teheran e un posizionamento radicale contro Tel Aviv.
La leadership russa, comunque profondamente radicata in Iran, non ha alcun interesse a uno scontro diretto con Israele, tanto meno con il suo più stretto alleato, gli Stati Uniti. I rapporti tra Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu e Donald Trump sono caratterizzati dall’estremo pragmatismo: non è un caso che proprio la Casa Bianca abbia avanzato l’ipotesi di una mediazione del Cremlino, che al di là delle critiche anche sull’operazione a Gaza, ha sempre mantenuto nella sostanza buone relazioni con il premier israeliano. Di fronte all’ovvio rifiuto da parte dell’Unione Europea alla mediazione russa, a causa del conflitto in Ucraina, è però evidente che il ruolo del Cremlino rimane significativo, in maniera attiva e passiva, per lo sviluppo della crisi regionale mediorientale che non è certo avulsa dal contesto internazionale e dalle altre aree in turbolenza, in primis appunto quella ucraina.
Diplomazia e interessi nazionali
Mosca ha fermamente condannato l’attacco israeliano, ha messo in guardia contro un’ulteriore escalation e può utilizzare la sua posizione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per esercitare pressione ed elaborare soluzioni per un contenimento del conflitto, anche se a livello pratico pare già esserci una sorta di allineamento a quella che è la tattica di Washington e alla sostanziale carta bianca concessa ad Israele. L’ipotesi di un salvacondotto per i rappresentanti del regime di Teheran si inserisce in questa scia, così come quella di un futuro accordo con ruoli ben definiti tra gli alleati. I meccanismi paiono essere quelli messi in moto già lo scorso anno, con il regime siriano di Bashar al Assad caduto in breve tempo, grazie anche alla desistenza della Russia: in quel caso Mosca ha abbandonato sì il regime alleato, ma a tutt’oggi è ancora presente in Siria nelle basi storiche di Tartus e Khmeimim e tratta la futura permanenza con il nuovo presidente Ahmed al Sharaan, ex combattente jihadista entrato nelle grazie dell’Occidente.
L’approccio di Putin, basato sulla Realpolitik e gli interessi nazionali, vede come priorità il mantenimento delle relazioni con Paesi considerati strategici al di là delle leadership, sacrificabili a seconda delle esigenze, indotte o meno. In questo caso i fattori primari che guidano le mosse del Cremlino sono evitare un allargamento della guerra che destabilizzi completamente la regione e un cambio di regime non controllato, con il supporto ad exit strategy di compromesso, in accordo anche con la Casa Bianca e al netto delle decisioni prese in autonomia da Israele.
L’asse con gli USA
Da questo punto di vista, come accaduto in Siria, si tratta per Mosca di compensare sulla scacchiera ucraina le pedine smarrite su quella mediorientale: Donald Trump, che ha bloccato totalmente gli aiuti a Kiev e non sembra intenzionato per ora a ritrattare il disimpegno annunciato e praticato in Ucraina, sta di fatto lasciando campo aperto a Vladimir Putin, che al momento dispone delle opzioni migliori, sia nel caso di un’eventuale accordo partendo dallo status quo, sia nel caso di un prolungamento del conflitto senza il fondamentale supporto militare statunitense all’Ucraina. È presumibile che nel contesto internazionale i rapporti tra Russia e USA siano dettati dagli equilibri raggiungibili sui vari dossier, dove a determinate azioni non corrispondono quindi reazioni nello stesso settore, ma in un altro. È il principio dei vasi comunicanti, dove vengono cercate le formule che permettono ai player più elastici di ritrovarsi con bicchiere comunque pieno, o quasi.
L’allarme lanciato dal presidente ucraino Volodymr Zelensky, che vede nel conflitto tra Israele e Iran un motivo ulteriore per il ritiro statunitense dal teatro ucraino, è nato proprio dal fatto che, come prevedibile, la risoluzione della guerra tra Russia e Ucraina dipende più da quello che succederà tra Mosca e Washington che non dagli aiuti militari che i volenterosi europei saranno disposti davvero a dare, anche in tempi brevi. L’Ucraina ha poco spazio di manovra negoziale e verosimilmente ne avrà sempre di meno, sempre che la guerra di logoramento non prenda improvvisamente un’altra piega.
Il fattore petrolio
C’è inoltre un altro fattore che sta facendo il gioco della Russia in questa crisi in cui Mosca è coinvolta in posizione difensiva, ma di cui sta anche approfittando: l’aumento del prezzo del petrolio. In una fase in cui l’Unione Europea sta ancora cercando la via per mettere sotto pressione l’economia russa attraverso nuove sanzioni, la crescita del prezzo del barile porta un vantaggio al Cremlino che con le tensioni nel Golfo ha l’opportunità di beneficiare anche di un aumento dell’export. Più la crisi sarà prolungata e più i prezzi lieviteranno, maggiori saranno le entrate nelle casse dello Stato russo.
L’instabilità dei mercati e l’incertezza politica, non a casa propria, sono elementi che la Russia di Putin ha dimostrato di saper sfruttare a proprio nel contesto di una strategia globale che, pur segnalando ombre ed insuccessi, ha consentito di mantenere influenza in aree tradizionalmente favorevoli, come l’Asia centrale, e allargarla addirittura in altre, come in Africa. La guerra tra Iran e Israele pone per Mosca la sfida per un riposizionamento, che dovrà essere valutato in maniera complessiva, insieme a ciò che succederà altrove.