Cristianesimo

Il primo gennaio e la figura di Maria, tra storia e celebrazione

Un’analisi delle radici della festa della Madre di Dio nel calendario romano e una riflessione sull’attualità del messaggio di Maria, al di là delle controversie

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In un presepe donato al Vaticano dal Costa Rica (dicembre 2025) Maria è rappresentata incinta

In un presepe donato al Vaticano dal Costa Rica (dicembre 2025) Maria è rappresentata incinta

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Di: Francesco Lepore, giornalista, è esperto di lingue antiche e tematiche religiose

Nel tempo liturgico del Natale, «prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di colei la cui illibata verginità diede al mondo il Salvatore» (Paolo VI, Marialis cultus, 5), e in quello immediatamente precedente dell’Avvento la figura della fanciulla di Nazaret occupa un posto di grande importanza. Non a caso con la riforma del Calendario romano generale, approvata da papa Montini nel 1969, è stata ripristinata all’1 gennaio, «secondo l’antico suggerimento della Liturgia dell’Urbe» (ibid.), la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Celebrata, infatti, nell’ottava di Natale col titolo In natali sanctae Mariae e avente per oggetto la maternità verginale, tale festività è attestata in Roma già nella seconda metà del VI secolo. Nel medesimo periodo anche la liturgia gallicana s’arricchiva della medesima festa, fissata però al 18 gennaio. Sempre nel VI secolo se ne ha traccia, invece, in Costantinopoli al 26 dicembre. Data, questa, attualmente conservata tanto nel rito bizantino (“Sinassi della soprasanta Madre di Dio”) quanto in quelli siro-antiocheno e caldeo (“Congratulazioni alla Madre di Dio”).

Ma nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente una tale festa era già celebrata, agli inizi del V secolo, nell’ultima domenica prenatalizia, come si può chiaramente evincere da un’omelia di Proclo, databile tra il 428 e il 430. La première fête mariale, com’ebbe a definirla nel 1923 Martin Jugie, risulta essere una commemorazione della maternità divina, intimamente connessa col primitivo ciclo natalizio e verisimilmente attestata per la prima volta in Cappadocia nella seconda metà del IV secolo. Si tratta d’una festa mobile, fissata in una domenica prenatalizia (probabilmente l’ultima), incentrata sul brano lucano dell’Annunciazione (1, 26-35) e solitamente designata come “Memoria di santa Maria” o “Memoria della santa Madre di Dio”. L’uso orientale di commemorare la Madre di Dio in una domenica antecedente il Natale (solitamente l’ultima) sarebbe stato poi recepito, tra V e VII secolo, a Ravenna, Milano, Aquileia, Napoli. La stessa situazione anche in Spagna, dove detta Memoria perse però ben presto il carattere di mobilità: nel 656, infatti, il X Concilio di Toledo la fissò al 18 dicembre sì da conferire stabilità alla stessa e ovviare all’annuale diversificazione di date nel commemorare la madre di Gesù. La festa spagnola del 18 dicembre – tutt’oggi celebrata sotto il titolo di Virgen de la Esperanza –, che alla fine del VIII secolo è singolarmente documentata nella sola città campana di Benevento, è dunque la germinazione della ben più antica domenica mariana prenatalizia, in cui veniva data centralità al mistero salvifico dell’annuncio a Maria e alle conseguenze del suo Fiat.

Nell’ottica del brano lucano grande importanza si è data e continua a darsi alla riflessione sull’obbedienza di Maria. Tema, questo, spesso comunque equivocato, come dimostrano le recenti accuse di misoginia a Giuseppe Laterza, arcivescovo titolare di Polignano e nunzio apostolico in Repubblica centrafricana e Ciad, per le parole pronunciate, il 20 dicembre, nel corso di un’omelia nella natia Conversano: «Maria è veramente libera. Libera perché sa ubbidire. Eh, vedete: Maria è la donna veramente più libera del mondo. Dovremmo dirlo a qualche femminista. Maria è libera perché ha saputo obbedire». In realtà, leggendo/ascoltato integralmente il testo omiletico in questione, si sarebbe spento sul nascere il fuoco della polemica. Per Laterza, infatti, l’obbedienza di Maria – similmente all’atteggiamento «dei pastori nella notte di Betlemme» – è quella della fede, libera adesione alla Parola ascoltata in quanto scaturita, secondo l’etimologia latina, da un ob-audire fiducioso e costante.  Le parole incriminate andrebbero perciò non solo riallacciate al periodo immediatamente successivo («Maria è la donna più libera del mondo perché ha saputo obbedire. Maria è la donna più libera perché soltanto Dio è l’unico padrone che non rende schiavi. Eh, tutti i padroni del mondo rendono schiavi, Dio è l’unico padrone che ci rende liberi»), ma anche lette alla luce del precedente passaggio sulle reazioni e l’accettazione, tutt’altro che supina, del messaggio angelico da parte della giovane di Nazaret. «Maria come i pastori – così il nunzio apostolico – non è indifferente. Maria si lascia interrogare, si turba, ascolta, riflette e poi dice sì. Maria non è indifferente perché non fa dei calcoli umani».

Al riguardo tornano quanto mai utili e appropriate le parole della teologa Cettina Militello, che così scriveva alcuni anni fa: «Il consenso che la creatura presta al Creatore ha il nome proprio di “obbedienza”. È riconoscimento del proprio limite, della propria finitudine, della propria contestualità creaturale. In quest’orizzonte “secolare”, quotidiano e comune, che iscrive la creatura nel disegno del Creatore, dobbiamo dunque collocare l’”obbedienza” di Maria, espressione anch’essa della fede; traduzione della sua fedeltà al Dio dell’alleanza. […] L’obbedienza è così tutt’uno con l’atteggiamento fiduciale, con l’abbandonarsi al volere di Dio. Non si tratta di un atto formale, né di un atto irriflesso. L’obbedienza di Maria non è irragionevole o acritica. Ella è persona che interloquisce, che chiede di capire, che obietta» (Maria con occhi di donna, Piemme 1999, pp. 232-233). Alla luce di quanto detto, gli attacchi all’arcivescovo Laterza perdono di significato e mostrano tutta la loro inconsistenza. Se un appunto va fatto, è all’inciso polemico «Dovremmo dirlo a qualche femminista». Forse il nunzio apostolico voleva riferirsi a modelli radicali di teologia femminista e a esponenti come Mary Daly, la cui riflessione, «giunta poi, negli anni ’70, ad esiti, per sua stessa ammissione, inconciliabili con la fede cristiana», suscitava già tempo fa «un certo disagio» in un’esponente di spicco della “teologia al femminile” quale la citata Militello (Maria cit., p. 74). Ma ciò non toglie l’infelicità di quell’uscita, invero inadatta al contesto omiletico, da cui ha avuto poi origine tutta la serie di equivoci, letture falsate, inaccettabili e scomposti j’accuse contro Laterza. Il quale, va detto a suo merito, ha prontamente dichiarato: «Se qualcuno si è sentito offeso, chiedo umilmente scusa: le mie intenzioni non erano né quelle di offendere il ruolo della donna, né tantomeno la sua libertà. Io non ho mai parlato di una sottomissione della donna».

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  • Courtesy: Chiara Gerosa
  • Gaëlle Courtens e Chiara Gerosa

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