Un passaparola fulmineo. Sui social corre piĂš veloce dei pesantissimi auto-articolati carichi di aiuti umanitari. Rimbalza sui cellulari di giovani israeliani nei villaggi oltre il confine tra la Cisgiordania e lo Stato ebraico. Entrano in azione sulla Statale 35 che da Hebron scende tra boschi di cipressi e pini allineati su rettangoli gialli giĂ indorati di spighe. Sembra la Toscana, invece questo nastro dâasfalto si srotola fino alla Striscia di Gaza. In linea dâaria, una trentina di chilometri. Ma visti da qui, sembrano un abisso.
âDa qui non si passaâ
Appuntamento alla rotonda per Lakhish, piccolo villaggio prima della cittadina semi-industriale di Kiryat Gat. In poche decine di minuti arrivano alla spicciolata una quarantina di adolescenti, non ne vediamo nessuno armato â in un paese dove si può circolare liberamente con una mitraglietta automatica a tracolla. Ci sono anche delle ragazze, sneaker ai piedi e gonne nere tradizionali. In un attimo piazzano un blocco di pietra davanti al segnale di âStopâ allâimbocco della rotatoria. Il camion è bloccato. Battibecco con lâautista. Gli assalitori gli chiedono i documenti per accertarsi se sia palestinese. Tensioni con gli agenti di polizia appena giunti sul posto, tra qualche colpo di clacson di approvazione e una pattuglia di militari che si aggiunge per provare a bloccare i giovani.
âNon possiamo permettere che gli aiuti passino di quiâ spiega mantenendo toni cordiali Itay Naaman, 18 anni e un lavoro saltuario nel settore della sicurezza. âIl governo di Israele invia questo materiale a Gaza, ad Hamas. Noi non vogliamo permetterlo: per questo blocchiamo i camion. E se provano a proseguire, allora apriamo i cassoni, buttiamo tutto il carico e lo incendiamoâ. Lo avevano giĂ fatto nei giorni scorsi, al vicino valico di Tarkumiya, che separa i Territori occupati palestinesi da Israele. LĂŹ câè una sorta di dogana commerciale: una quindicina di camion bruciati, quintali di aiuti umanitari andati fumo.

Lâintervento delle forze dellâordine impedisce il blocco degli aiuti umanitari
âI civili? Non ricevono nullaâ
Chiedo a Itay se non si senta a disagio bloccando gli aiuti destinati a quasi 2 milioni e mezzo di civili palestinesi in condizioni umanitarie disperate. âCerto che ci pensiamoâŚ, non lo possiamo ignorareâ. Alla RSI dice che una parte di questo cibo âpotrebbe andare ai civili. Ma la maggioranza dei civili sostiene Hamas e Hamas prende il controllo degli aiuti umanitari. Per questo interveniamo: gli aiuti diretti a Gaza servono a uccidere i nostri soldatiâ. La maggior parte degli aiuti â è il suo parere â ânon finiscono alla popolazione civileâ.

Questi gruppi di giovani israeliani si autoconvocano via social media
Lo zucchero di Gaza
âNon meritano di ricevere aiuto: lâaltro giorno io ho aperto e distrutto decine di sacchi di zuccheroâ racconta un ragazzo con la kippah e i brufoli. AvrĂ al massimo 15 anni. Afferma di aver partecipato allâassalto ai camion avvenuto qualche giorno prima a Negohot, sul lato palestinese del confine. Non possiamo verificare se questo corrisponda al vero. âMa cosa se ne fanno a Gaza di tutto questo zucchero?â chiede in un inglese zoppicante. Gli spiego che da 8 mesi lĂŹ è in corso un assedio, con la popolazione civile stremata dalla violentissima risposta militare di Israele allâorrendo crimine compiuto da Hamas contro civili e soldati israeliani il 7 ottobre. âMa erano sacchi da 25 chili. Come fanno a usarli?â continua il ragazzo, confermando una totale ignoranza del contesto e della realtĂ documentata da migliaia di video sui social da attivisti e giornalisti palestinesi (oltre 130 operatori dellâinformazione sono stati uccisi a Gaza dallâesercito israeliano). Altro che zucchero. Non câè nulla di dolce qui. Ma lâamara constatazione che ciascuno vive allâinterno della propria narrazione. Totalmente inconsapevole della sofferenza dellâaltro. Interviene la madre del ragazzo, lâunica adulta presente al blocco stradale.
La mamma che abitava nella Striscia
âMia nonna è stata uccisa dai nazisti nel campo di Bergen-Belsen. Quando i ragazzi hanno bloccato un camion câerano pacchi dalla Germania: capisci? Loro aiutano i palestinesi che ammazzano gli israeliani. No, non lo posso accettareâ. Parla tutto dâun fiato ma non vuole rilasciare dichiarazioni davanti alla telecamera questa signora. Sostiene di aver vissuto per 11 anni nellâinsediamento ebraico di Gush Katif nella Striscia di Gaza. Venne smantellato nel 2005 da Ariel Sharon. Lei tornerebbe a Gaza, come vorrebbero gli estremisti di destra che sostengono lâattuale governo di Netanyahu? âNo, ne ho avuto abbastanza: la mia casa è stata colpita 5 volte dai missili di Hamasâ. Le chiedo però perchĂŠ impedire la consegna di aiuti a mamme come lei, a nonne, anziani, disabili, bambini, ammalati⌠âMi spiace: tutti, ma proprio tutti, a Gaza sostengono Hamas. LĂŹ nessuno è innocenteâ.

Dallâaltra parte del confine in Cisgiordania sono soprattutto i coloni a bloccare i convogli diretti a Gaza
âSiamo la destra di Israeleâ
Lâunica altra persona non giovanissima presente allâassalto al tir è Eyal. Abita a Bet Shemesh, una ventina di chilometri da qui. Mi mostra il video di un giovane uomo pochi minuti prima dalla polizia. âAveva chiesto i documenti allâautista di un camion, gli agenti lâhanno fermato perchĂŠ occupava una stradaâ. Eyal si muove con consapevolezza. Ă uno dei pochi che non sembra arrivato qui spontaneamente allâultimo minuto. Gli chiedo se è lui lâorganizzatore della protesta per bloccare gli aiuti su questa strada. âNo, abito solo qui vicino e quindi vengo qui quando ci sono i blocchi stradaliâ. Itay, il ragazzo incontrato allâinizio, tenta invece a darsi una collocazione politica: âIo rappresento la destra di Israele. Ci sono due parti: chi sostiene Hamas e i palestinesi e poi ci siamo noi, gli âyameenâ, che vogliamo mettere fine a tutto questo. Siamo la destraâ.          Â

La traduzione dei messaggi sulla chat denominata âColoni contro gli aiuti umanitari ad Hamasâ
Il tam-tam via chat
I giovani della rotonda di Lakhish non sono coloni. Abitano in Israele. Colpisce questa mobilitazione trasversale: lâidea di impedire lâassistenza umanitaria è cosĂŹ condivisa? Quanto diffuso è questo sentimento? Quanta parte di Israele è davvero pronta ad affamare i palestinesi di Gaza?
I coloni non hanno dubbi. Appena dallâaltra parte del confine però, nelle stesse ore, câè Joseph. Ă il sedicente portavoce del gruppo âColoni contro gli aiuti umanitari ad Hamasâ. Mi scrive: âIn mattinata abbiamo provato a bloccare degli aiuti a Ashdodâ in territorio israeliano. Poi mi dĂ appuntamento al terminal dei camion di Tarkumiya, in Cisgiordania. Nel giorno in cui lo contatto crea una nuova chat. In poche ore, centinaia di adesioni. Nei tre giorni successivi, quasi a mille iscritti. Il tam-tam è rapidissimo. âChiunque possa aiutare nelle incursioni agli incroci o chi vede i camion quando passano dovrebbe scattare una fotografia e chiamare uno dei membri del gruppoâ, è il messaggio che arriva nel primo pomeriggio. Il sostegno si moltiplica. La percezione è che questa forma di protesta radicale â incomprensibile a molti, perchĂŠ si realizza attraverso la negazione di cibo e aiuti indispensabili ai civili â stia prendendo piede anche tra le fasce meno estremiste. âGrazie a tutti quelli che mandano foto, che aiutano, e soprattutto a quelli che si attivano per bloccare gli aiuti a qualsiasi prezzo. Siete lâorgoglio di Israeleâ, è il messaggio che compare sulla chat alle 17:53. Difficile capire quanto tutto questo sia rappresentativo della societĂ israeliana oggi.
Gli assalti dei coloni
Da mesi ormai gli attacchi contro i camion avvengono soprattutto in Cisgiordania. Prendono dâassalto i convogli umanitari diretti ad alleviare le sofferenze dei civili a Gaza. Bloccano i camion, bruciano il carico e si filmano per postare in rete le loro âimpreseâ. Ma non vogliono i giornalisti. âMi raccomando: se ti chiedono di non filmare devi rispettare la privacyâ mi scrive Joseph invitandomi a uno dei loro raduni. Con loro non è facile ragionare. Hanno posizioni estreme. E non gradiscono intrusioni. Alle 18:43 Jospeh mi scrive che si accamperanno al valico dei camion. âPerò mantieni il segreto, mi raccomandoâ.
Per decine di volte i coloni hanno preso di mira i convogli diretti a Gaza. Sia in Cisgiordania che a ridosso della Striscia. Lo ha documentato di recente anche il britannico âGuardianâ. Nel mio caso, basta aprire la chat che rimanda ad altri gruppi. Le immagini sono li, a documentare di una forma estrema di protesta: impedire la consegna di beni di prima necessitĂ a â letteralmente â milioni di persone che li aspettano.

Un gruppo di israeliani ha creato i cosiddetti guardiani umanitari per contrastare i blocchi dei coloni
La risposta dei âguardiani umanitariâ
Magliette viola e cappellini, arrivano in pullman nella zona del valico di Tarkumiya. A guidarli Alon-Lee Green, condirettore dellâassociazione per il dialogo israelo-palestinese âStanding Togetherâ. I coloni li bollano come âleftistsâ, âgente di sinistraâ. Loro invece, in questa iniziativa nata da pochi giorni, si auto-definiscono âguardiani umanitariâ: cercano di impedire ai coloni il blocco degli aiuti. Ieri, domenica, ci sono riusciti. Hanno chiesto e ottenuto lâintervento della polizia, che ha fermato gli assalitori israeliani permettendo cosĂŹ il transito dei convogli diretti nella Striscia di Gaza.
I valichi via terra in realtĂ sono stati chiusi a lungo. E lo sono tuttora, su decisione del governo di Netanyahu in cui i dissensi interni ormai sono evidenti: dapprima il ministro della Difesa Gallant ha sfidato apertamente il premier. Poi uno degli alleati del gabinetto di guerra, Benny Gantz, ha posto un ultimatum chiedendo a Netanyahu di definire una strategia post-guerra entro lâ8 giugno.
Con i valichi chiusi, la soluzione di paracadutare aiuti umanitari si è rivelata parzialmente inefficace (con diversi palestinesi uccisi dagli stessi carichi umanitari). Lâaltra è lâapprodo via mare: gli USA â dopo aver fornito armi per miliardi di dollari usate per lâassedio a Gaza â ora hanno costruito un molo che potrebbe consentire lo sbarco di convogli.
Ma non è solo una questione di logistica. La catastrofe umanitaria di quasi 2,5 milioni di palestinesi accende il dibattito interno in Israele. âLa nostra battaglia â afferma il responsabile dei âGuardiani umanitariâ israeliani â non riguarda solo gli aiuti umanitari, ma anche la battaglia per la nostra societĂ , câè in gioco la nostra capacitĂ di rimanere umaniâ.

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