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Israele e la guerra, fra analisi realistiche e diffuse fantasie

L’intervista della RSI a Michael Milshtein, ex consigliere per gli Affari Palestinesi dell’intelligence e dell’esercito israeliano

  • 7 minuti fa
Foto d'archivio
05:45

Gaza: la situazione alla vigilia della seconda fase dell'accordo

SEIDISERA 04.12.2025, 18:00

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Di: SEIDISERA - Naima Chicherio 

Al piano americano per Gaza non ci sono alternative. Non è l’opzione migliore per Israele, ma è la meno peggio, secondo Michael Milshtein, oggi analista del Dayan Center dell’Università di Tel Aviv, che per anni ha lavorato ai vertici dell’intelligence e forze armate israeliane.

Il piano presenta tante criticità, ma non si scappa, quindi “Israele ora dovrebbe concentrarsi su due aspetti. Innanzitutto, dovrebbe insistere affinché le forze americane siano schierate lungo il corridoio di Philadelphia e il valico di Rafah. In secondo luogo, dovrebbe fare di tutto per preservare a Gaza la stessa libertà di azione che ha in Libano”, spiega Milshtein ai microfoni di Naima Chicherio di SEIDISERA della RSI.

Per Milshtein, la presenza di soldati americani lungo la linea che separa la Striscia e l’Egitto sarebbe l’unico modo per impedire ad Hamas di importare nuove armi. È il contrabbando attraverso quel confine che gli ha permesso di passare da un’organizzazione di guerriglia a un vero e proprio esercito, dice. Quanto a libertà, l’esercito dovrebbe poter intervenire per sventare i piani del gruppo palestinese, esattamente come fa contro l’alleato Hezbollah in Libano, dove i bombardamenti sono quotidiani.

“Non dobbiamo essere ingenui. Anche se è ciò che dichiara, Hamas non accetterà mai il suo disarmo, neanche se Israele si ritirasse dalla Striscia. È verosimile che accetti una nuova struttura politica a Gaza, ma dietro le quinte, chi avrà davvero influenza sarà ancora Hamas. La stessa cosa è successa in Libano, dove c’è uno Stato, ma il potere è in mano a Hezbollah”.

Né Israele, né Hamas per ora fanno concessioni. I negoziati sulla seconda fase presentano ancora tante incertezze. “Alla fine saranno gli Stati Uniti a decidere”, conclude più di una volta Michael Milshtein. “Trump ha salvato Israele da una guerra infinita di cui gli israeliani non hanno veramente capito gli obiettivi, né la logica. Rischiavamo di restare impantanati in un conflitto che ha causato solo danni. Esserne usciti è nel nostro interesse e questa è la buona notizia. La cattiva è che è Washington a decidere tutto qui, ma anche altrove”. Il premier Netanyahu ha infatti ricevuto l’ordine di non attaccare più la Siria e si è visto imporre negoziati diretti con Beirut.

“Non ci va di essere dipinti come uno Stato vassallo o come la Repubblica delle banane. Vogliamo credere di essere uno Stato sovrano”, dice Milshtein, preoccupato però non solo dalla perdita di autonomia del suo Governo, ma anche delle fantasie di cui si nutrono gli israeliani.

“Tanti credono che Gaza un giorno sarà come Singapore o Hong Kong, che i gruppi armati finanziati da Israele diventeranno una valida alternativa ad Hamas e che i palestinesi saranno trasferiti. Sbagliano”. L’analista, che attribuisce queste interpretazioni poco realistiche all’attuale Governo israeliano, è poco ottimista: “Parliamo di un Governo che non ha neppure istituito una commissione d’inchiesta sul 7 ottobre, quindi è facile pensare che ripeterà i suoi errori, siamo in un circolo vizioso. Un circolo vizioso e tragico”.

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