Donald Trump si è affrettato a congratularsi con lui in un post su Truth, affermando che è un onore “realizzare che è il primo Papa americano” e che non vede l’ora di incontrarlo. Fra i cardinali statunitensi entrati in conclave, Robert Francis Prevost non è però il profilo più affine a quello dell’inquilino della Casa Bianca. Trump in un’intervista aveva indicato quale suo favorito l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, di stampo decisamente conservatore.
Leone XIV, Robert Francis Prevost, è nato a Chicago 69 anni fa. Ne compirà 70 il 14 settembre. Le sue origini sono francesi e italiane per parte di padre, spagnole per parte di madre, e la sua vita pastorale è legata più al Perù che agli Stati Uniti. Il suo legame con l’America Latina è forte, tanto che parlando alla folla in Piazza San Pietro Prevost ha usato oltre all’italiano lo spagnolo, per salutare la diocesi di Chiclayo di cui è stato vescovo, ma non l’inglese sua lingua materna. La presidente del Paese sudamericano, Dina Boluarte, non a caso ha celebrato l’elezione come “storica per il Perù”, ricordando che nel 2015 Prevost ne aveva preso anche la cittadinanza. “Nelle nostre terre ha seminato speranza, ha camminato accanto ai più bisognosi e ha condiviso le gioie del nostro popolo”, ha affermato.
Per il suo passato missionario, Prevost - che è laureato in matematica e filosofia - era quindi considerato “il meno americano” dei cardinali statunitensi. Era molto vicino a Jorge Mario Bergoglio, che lo fece cardinale due anni fa e prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia commissione proprio per l’America Latina.
E di Bergoglio ha l’attenzione ai poveri e ai migranti, come sta a testimoniare anche il nome scelto: Leone come Leone XIII che scrisse tra fine Ottocento e inizio Novecento la Rerum Novarum, la prima enciclica sociale. E proprio sulla politica migratoria Prevost sui social aveva a più riprese criticato l’amministrazione Trump e in particolar modo il vicepresidente J.D. Vance (convertito al cattolicesimo), che facendo riferimento all’”ordo amoris” di Sant’Agostino aveva giustificato le politiche della Casa Bianca affermando che prima si ama la propria famiglia, poi i propri vicini, la propria comunità (...) e solo alla fine il resto del mondo. “JD Vance sbaglia: Gesù non ci chiede di dare una valutazione al nostro amore per gli altri”. È il post che Prevost scrisse sul suo profilo social lo scorso 5 febbraio.
Allo stesso tempo, discreto e riservato di natura, Prevost è giudicato un moderato capace di far convivere opinioni divergenti. Anche per questo, oltre che per il ruolo di prefetto del Dicastero dei vescovi che gli ha permesso di tessere legami con molti cardinali e quindi di essere per loro un volto conosciuto, era indicato fra i papabili, sebbene non in prima fila.
Per queste sue doti potrebbe quindi contribuire a fare da mediatore fra “conservatori” e “progressisti”, come auspica anche il presidente della conferenza dei vescovi svizzeri Charles Morerod. E questo anche in seno alla Chiesa cattolica statunitense, che rappresenta il 20% della popolazione e dove questa spaccatura è profonda. Proprio il già citato Dolan sarebbe riuscito a ricucirla quantomeno fra i cardinali, secondo la lettura della giornalista dell’ANSA Nina Fabrizio, fungendo da “pope maker” e riuscendo a unire i cardinali anglofoni, numerosi, e soprattutto facendo giocare di squadra porporati rappresentanti delle due grandi correnti statunitensi.
Certo, il tabù di un Papa proveniente da un Paese già dominante dal profilo del potere temporale - politico e militare - è stato rotto, ma secondo François Mabille, direttore dell’Osservatorio geopolitico delle religioni, l’elezione di Prevost è allo stesso tempo “una presa in considerazione di criteri geopolitici e un’opposizione al Governo” di Washington.
Le prime parole di Papa Leone XIV sono parole di pace
RSI Info 08.05.2025, 20:25