Salute

La mano, meraviglia della nostra evoluzione

I nostri arti superiori sono degli strumenti straordinari: ci conferiscono precisione, forza e sensibilità, e senza di loro non saremmo gli stessi 

  • Oggi, 06:48
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Di mano in mano

Il giardino di Albert 03.05.2025, 17:00

  • ©Marco Polo Film AG 2023
Di: red. giardino di Albert/Matteo Martelli  

Nell’epoca in cui i cellulari sembrano essere diventati un’estensione delle nostre braccia, spesso dimentichiamo che il più grande strumento… a portata di mano ce l’ha fornito la natura: cinque dita di cui un pollice opponibile e un complesso universo di ossa, legamenti, muscoli e articolazioni che utilizziamo per svolgere gran parte delle nostre attività quotidiane e per comunicare le nostre emozioni, che si tratti di un gesto, di una carezza o di una stretta di mano.

Insomma, la mano ci aiuta a scoprire il mondo che ci circonda, e questo accade sin dalla più tenera età. Provare per credere: vi è mai capitato di porgere un dito a un neonato? Questo cercherà di afferrarlo, in un riflesso innato che risale probabilmente alla volontà dei nostri antenati di aggrapparsi alla pelliccia della madre.

Neonato, mano

Il riflesso di presa dei neonati si perde con il tempo e, con l’allenamento, si esercita l’abilità delle dita per la vita quotidiana.

  • IMAGO / Depositphotos

I superpoteri che ci conferiscono i nostri arti superiori, è il caso di dirlo, non si contano sulle dita di una mano: 17’000 recettori con ruoli specifici ci consentono di percepire se fa caldo o freddo, se siamo feriti o se c’è una superficie liscia o irregolare: è grazie a loro se le persone non vedenti sono in grado di leggere testi in Braille attraverso il tocco dei polpastrelli.

Tutto ciò è reso possibile da un intenso traffico di stimoli elettrici che parte dalle cellule specializzate sotto la superficie della nostra pelle, passa dal midollo spinale e arriva al nostro cervello. Non a caso, le mani sono la parte del nostro corpo, insieme alla lingua, con la più alta densità di recettori sensoriali.

Homunculus

L'homunculus somatosensoriale è una rappresentazione caricaturale della nostra percezione sensoriale: le dimensioni delle parti del corpo sono proporzionali alle informazioni trasmesse al nostro cervello. Mani, dita e lingua hanno una dimensione più importante proprio perché giocano un ruolo cruciale nella percezione del mondo che ci circonda.

  • Un estratto dal documentario "Di mano in mano" - il giardino di Albert (©Marco Polo Film AG 2023)

Ma le sorprese non finiscono qui: le nostre mani possono sviluppare una forza d’impatto fino a 700 chilogrammi e possiedono una struttura estremamente complessa: esse ospitano infatti un quarto di tutte le ossa del nostro corpo.

Al contempo, la loro motricità fine ci permette di compiere movimenti estremamente precisi, tutt’oggi indispensabili in alcune professioni, come nella chirurgia. Di queste straordinarie funzioni ci rendiamo conto però solo quando siamo vittime di un infortunio o quando con l’età sopraggiungono problemi articolari.

I passaggi della nostra evoluzione che ci hanno fornito questo straordinario strumento rimangono per molti versi un mistero. Ciò che sappiamo, è che la mano dell’uomo moderno conserva alcuni tratti primitivi, ed è cambiata molto meno rispetto a quella degli scimpanzé o di altre scimmie.

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Le abilità manuali sono comuni a tutti i primati: in foto, un esemplare di macaco cinomolgo alle prese con un frutto.

  • IMAGO / Panthermedia

La forma più primitiva di quella che oggi è la nostra mano risale a oltre 380 milioni di anni fa. Le pinne pettorali dei pesci già possedevano ossa simili a quelle delle dita. Da lì, le appendici laterali hanno subìto cambiamenti strutturali che, secondo studi, hanno favorito a loro volta modifiche del nostro cervello, fino alle prime esperienze manuali che hanno consentito ai nostri antenati di maneggiare utensili, di cacciare e di raggiungere i più alti traguardi della modernità.

Ancora oggi, lo scheletro di tutti i vertebrati è basato in realtà sullo stesso schema strutturale, ovvero falangi, ossa metacarpali e ossa carpali. Piccole variazioni genetiche hanno portato a cambiamenti nella lunghezza e nel numero delle dita a seconda delle necessità evolutive, che si tratti di nuotare, di volare o arrampicarsi sugli alberi.

Un caso curioso sotto la lente d’ingrandimento dei ricercatori è l’aye aye, primate nativo del Madagascar: l’animale è dotato di un lungo dito medio, molto lungo e sottile, che per lungo tempo si è pensato servisse unicamente a esplorare le cavità dei tronchi d’albero a caccia di larve.

Aye aye

Un esemplare di aye aye

  • IMAGO / imagebroker

Grazie alle osservazioni della ricercatrice svizzera Anne Claire Fabre, curatrice presso il Museo di Storia Naturale di Berna e professoressa associata presso l’Università di Berna, è stato possibile dimostrare che il dito medio dell’aye aye serve anche a… esplorare le cavità nasali. Ebbene sì: l’aye aye si mette le dita nel naso. Un genere di “usanza” che l’animale condivide con altre dodici specie di primati, incluso l’essere umano.

01:35

L’aye aye alle prese con le cavità nasali

RSI Info 30.04.2025, 14:25

  • Anne-Claire Fabre

Insomma, le mani non smettono mai di sorprenderci, e ad alimentare lo stupore c’è anche la prolifica ricerca scientifica sulle protesi, che mira a ricreare nella maniera più fedele possibile le sensazioni e le funzionalità naturali dei nostri arti superiori descritte precedentemente.

Oggi, sistemi di sensori ed elettrodi catturano i segnali elettrici prodotti dai muscoli delle braccia e consentono ai pazienti vittime di amputazione di compiere movimenti complessi con grande destrezza attraverso mani bioniche.

Il Politecnico federale di Losanna si è spinto anche oltre: di recente, un progetto ha consentito per la prima volta ai pazienti amputati di tornare a percepire la temperatura degli oggetti.

03:33

Silvestro Micera intervistato da Christian Bernasconi

RSI Info 03.05.2025, 17:00

  • Il giardino di Albert

Il team di ricerca di Silvestro Micera, professore ordinario della Cattedra Fondazione Bertarelli in Neuroingegneria Traslazionale dell’EPFL è riuscito a raggiungere quest’ambizioso obiettivo sfruttando la cosiddetta “mano fantasma”, per la quale le persone amputate continuano a percepire stimoli, spesso anche di dolore, o ad avvertire la posizione o la sensazione di movimento dell’arto che non c’è più. 

Individuando una sorta di mappa di terminazioni nervose sull’arto residuo del paziente associate a sensazioni percepite dalla mano fantasma, i ricercatori sono riusciti a riportare al paziente una sensazione di temperatura, trasmessa da un sensore posto sulle dita della protesi.

Protesi EPFL

I ricercatori identificano le sensazioni che corrispondono a determinati punti dell'avambraccio. Sucessivamente, i sensori di temperatura della protesi invieranno un segnale alle rispettive mappature.

  • EPFL

Insomma, approfondire la conoscenza dei segreti della nostra mano, dalle sue origini evolutive alle sue formidabili funzionalità, servirà non soltanto a comprendere meglio chi siamo, ma anche a fornire nuove speranze a chi è privato di questi organi sensazionali: perché in fondo, la nostra vita… è tutta nella nostre mani.

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