Svizzera

"Minacciato dalla 'ndrangheta"

La testimonianza di un uomo preso di mira dal 31enne arrestato a Zurigo, con l'accusa di essere il referente di una cosca mafiosa

  • 17 marzo 2018, 13:30
  • 8 giugno 2023, 17:33

"Il mio sogno è divenuto un incubo"

RSI/Elena Boromeo e Thomas Paggini 17.03.2018, 13:30

L'uomo arrestato lo scorso 4 dicembre a Zurigo con l'accusa di essere il referente di una cosca 'ndranghetista in Svizzera, non avrebbe minacciato solo ristoratori siciliani e calabresi nella Confederazione. Tra le sue vittime ci sono anche persone residenti nel Nord Italia, non lontano dal confine con il Ticino.

Nella testimonianza che la RSI ha potuto raccogliere (guarda il video), un uomo di circa 55 anni racconta l'esperienza vissuta in seguito all'acquisto di una casa in Brianza. "Il sogno di una vita è diventato un incubo", spiega. All'origine di tutto ci sono i lavori di ristrutturazione dati in subappalto a una ditta che poi è fallita senza mai terminarli. Ditta che, come l'uomo scoprirà in seguito, aveva un legame con la criminalità organizzata.

Le prime richieste di denaro sono arrivate nel 2015 da un numero col prefisso svizzero +41. Al telefono c'era il 31enne ritenuto dagli inquirenti uno dei principali esponenti della cosca Chindamo-Ferrentino. Il suo obiettivo era estorcere 180'000 euro attraverso minacce di morte sempre più esplicite. Il 55enne ha denunciato tutto l'accaduto ai carabinieri e ora il processo è in corso.

Diversi dettagli del suo racconto coincidono con le dichiarazioni di un pentito messe a verbale dall'antimafia di Reggio Calabria nell'ambito dell'operazione Lex (verbali che la RSI ha potuto consultare).

Il calabrese in questo momento si trova in Svizzera in stato di carcerazione in vista dell'estradizione, ma intanto sulla sua attività sono emersi nuovi elementi. I carabinieri, infatti, in una nota diramata giovedì hanno rivelato che il 31enne aveva avviato una sala scommesse nel centro cittadino di Winterthur, benché per le autorità italiane fosse latitante. Sul suo caso si dovrà pronunciare il Tribunale penale federale.

Elena Boromeo

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