Il Tribunale federale ha accolto il ricorso di una giovane madre italiana residente a Bellinzona, creando un importante precedente in materia di rinnovo dei permessi di soggiorno in Ticino. La donna, 27enne e madre di tre figli, vive in Svizzera da quando aveva 6 anni. La donna era arrivata in Ticino nel 2005 per ricongiungersi alla madre. Fino alla nascita del primo figlio, nel 2017, ha lavorato e non ha dunque avuto problemi. Poi non ha più lavorato e ha quindi beneficiato di aiuti sociali e di assegni familiari.
Nel 2020, la Sezione della popolazione del Canton Ticino aveva quindi deciso di non rinnovare il suo permesso di soggiorno, decisione poi confermata dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo cantonale (TRAM).
La svolta è però arrivata con la sentenza del Tribunale federale datata 29 settembre, anticipata oggi da La Regione, che ha ribaltato le decisioni precedenti. I giudici di Losanna hanno infatti stabilito che la revoca del permesso violava l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il diritto alla vita privata e familiare, e l’articolo 96 della legge sugli stranieri.
Joseph Domenech, segretario regionale del Centro per i Diritti del Cittadino che ha assistito la donna, ha commentato: “Il Tribunale federale ha finalmente fatto una sterzata di tanti gradi e ha preso la parte più umana”. Domenech ha pure sottolineato l’importanza di considerare gli assegni di prima infanzia e integrativi come prestazioni sociali e non assistenziali, come appunto statuito dal TF.
La sentenza evidenzia che la donna non ha mai subito condanne penali, non ha debiti privati e gli aiuti pubblici ricevuti sono stati limitati nel tempo. Il Tribunale federale ha quindi concluso che non esistevano “interessi pubblici evidenti” per negare il permesso, a fronte di “interessi privati notevoli e decisivi” per il proseguimento del soggiorno in Svizzera.
Silvia Gada (Sezione popolazione): “Per noi i criteri erano dati, ora prassi da rivedere”
Silvia Gada, capo della Sezione della popolazione, ha spiegato la posizione dell’ufficio: “Quanto analizzato nel 2020, quando l’Ufficio del migrazione ha firmato la decisione della revoca, si è valutato che analizzando in base all’articolo 8 CEDU i criteri di integrazione e gli interessi pubblici, dal nostro punto di vista portavano a una revoca”. Gada ha aggiunto che la sentenza del Tribunale federale offre nuovi elementi per la ponderazione dei casi futuri.
La funzionaria ha anche sottolineato che l’ufficio sta rivedendo le proprie disposizioni alla luce di questa sentenza: “Oggi è possibile che l’importanza dell’integrazione a livello di formazione e comportamento sia più valorizzata che in passato. È più chiaro quello che intende il Tribunale federale a livello di integrazione: si vuole l’integrazione dell’individuo piuttosto che un generico rischio per la società”.
La sentenza potrebbe quindi avere importanti ripercussioni sulla gestione dei permessi di soggiorno in Ticino, portando a una maggiore considerazione dei fattori di integrazione personale rispetto a criteri più generali di interesse pubblico.








