Cronaca

I 10 anni di Guantanamo

Ancora 171 detenuti nel carcere che doveva chiudere

  • 10 gennaio 2012, 19:08
  • 6 giugno 2023, 11:21
Prigione di Guantanamo, Cuba, 24.1.2002, Ky_.JPG

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Sono passati 10 anni da quando, l’11 gennaio 2002, una ventina di detenuti provenienti dall’Afghanistan entrarono nel carcere di massima sicurezza costruito nel perimetro della base statunitense di Guantanamo Bay, nella punta orientale dell’isola di Cuba.

Oggi in quel carcere che Barack Obama si era impegnato a chiudere entro gennaio del 2010, ci sono ancora 171 detenuti di cui almeno 12 trasferiti l’11 gennaio di 10 anni fa uno di essi sta scontando una condanna all’ergastolo inflitta da una commissione militare nel 2008, gli altri 11 non sono mai stati incriminati: una macchia che continua a intaccare l’immagine degli Stati Uniti e per molti il simbolo della violazione dei diritti umani. Il Congresso statunitense si è in effetti sempre opposto (l’ultima volta nel dicembre 2011) a qualsiasi trasferimento di detenuti sul suolo americano per esservi imprigionati o processati.

Il Patriot Act

A qualche mese dagli attentati dell'11 settembre 200, l’Amministrazione di George W. Bush, in nome della lotta la terrorismo fece di Guantanamo il carcere statunitense, situato fuori dagli Stati Uniti, in cui confinare i “combattenti nemici”, un neologismo giuridico creato ad hoc per cercare di aggirare le Convenzioni di Ginevra che si applicano ai prigionieri di guerra. In quello che si può considerare come un limbo sono stati incarcerate ed in parte torturate centinaia di persone senza che fosse formulata nessuna accusa specifica, senza un processo e per un tempo indeterminato. Una prassi (fra molte alte criticate dai difensori dei diritti civili e umani) resa possibile da quello che venne comunemente chiamato il Patriot Act , firmato dal presidente Bush il 26 ottobre 2001.

89 detenuti "liberabili" ancora detenuti

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In quella struttura della base americana, in affitto illimitato grazie ad un trattato fra gli Stati Uniti e Cuba del 1903, sono stati accolti fino a 779 prigionieri (uomini e adolescenti). Finora solo 6 detenuti sono stati riconosciuti colpevoli dalle commissioni militari (istituite nel 2006) ed altri 7 dovranno comparire davanti a questi tribunali speciali nei prossimi mesi, compreso colui che viene considerato la mente degli attentati dell’11 settembre. La popolazione carceraria è andata diminuendo negli anni ma si è bloccata poiché l’Amministrazione statunitense non sa dove mandare gli 89 detenuti giudicati “liberabili” ma non negli Stati Uniti, dalle autorità militari. Finora una decina di Paesi europei, fra cui la Svizzera che ha ospitato due Uiguri, ha accolto una cinquantina di ex detenuti ma molti governi sono restii ad “accollarsi” questo impegno, visto che gli stati Uniti non vogliono assumersi le conseguenze delle loro pratiche “poco ortodosse”.

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Sette anni a Guantanamo: la testimonianza

“Per 7 anni sono stato detenuto a Guantanamo, senza spiegazioni o accuse'': Comincia così una lettera di Lakhdar Boumediene, un cittadino bosniaco di origini algerine la cui liberazione è stata infine disposta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, con una sentenza che porta il suo nome e che ora viene insegnata nelle facoltà di giurisprudenza. Si tratta di un anniversario che Boumediene non vorrebbe ricordare così come molti famigliari di persone ancora detenute e per le quali Amnesty International si batte.

''Non mi piace pensare a Guantanamo; sono ricordi dolorosi ma ho deciso di condividere la mia storia perché 170 persone sono ancora lì'', ha scritto l'ex detenuto nella sua lettera, pubblicata dal New York Times.

Arrestato a Sarajevo

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Boumediene ripercorre la sua odissea, a partire da quando nel 1997 arrivò a Sarajevo per dirigere un ufficio per l'assistenza umanitaria ai bambini rimasti orfani a causa dei conflitti nei Balcani. Con la sua famiglia, conduceva una ''buona vita, ma tutto è cambiato dopo l'11 settembre''. Su richiesta degli USA le autorità bosniache lo arrestarono, assieme ad altre cinque persone. Erano sospettati di aver pianificato un attentato all'ambasciata americana in Bosnia. Poi ''fu chiaro che si trattava di un errore'' e fu rilasciato ma subito ''degli agenti americani mi rapirono assieme agli altri cinque. Fummo legati come animali e trasportati a Guantanamo'' dove arrivarono il 20 gennaio 2002. ''Avevo ancora fiducia nella giustizia americana'', scrive l'ex detenuto, aggiungendo però che presto i suoi ''rapitori'' divennero ''sempre più brutali'', perché negli interrogatori non dava loro le risposte che volevano. ''E come avrei potuto se non avevo fatto nulla di male?: Mi hanno tenuto sveglio per molti giorni di seguito. Sono stato costretto a rimanere molte ore in posizioni dolorose''. Iniziò allora uno sciopero della fame, di 2 anni ma due volte al giorno ''mi ficcavano un tubo dal naso, giù nella gola, fino allo stomaco, così mi potevano nutrire''.

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La sentenza della Corte Suprema

Nel 2008 la sua richiesta di un giusto processo arrivò alla Corte Suprema. Con una sentenza, l'Alta Corte stabilì che ''le persone come me, a prescindere delle gravità dei fatti di cui sono accusate, hanno il diritto di essere ascoltate in un tribunale''. E così cinque mesi dopo il giudice Richard Leon, del distretto federale di Washington dispose il suo rilascio. Ora Boumediene vive in Francia, con sua moglie e con i suoi figli, di cui durante la detenzione non ha mai potuto leggere le lettere, ''e il loro messaggio di amore e sostegno''. Continua però a pensare a chi è ancora a Guantanamo, e a quei ''circa 90 detenuti le cui accuse sono state cancellate. Alcuni di loro vengono da Paesi come la Siria o la Cina, dove sarebbero torturati se tornassero e così rimangono prigionieri, senza vedere la fine. Non perché siano pericolosi o perché abbiano attaccato gli USA, ma perché con il marchio di Guantanamo non sanno dove andare. E l'America non darà una casa a nessuno di loro''.

Paolo Dell'Oca

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