Lo scrittore anti-mafia più noto in Italia e nel mondo, Roberto Saviano, era presente giovedì sera alla SUPSI di Manno per presentare il suo ultimo libro: “L’amore mio non muore”. Racconta la storia di Rossella Casani, studentessa fiorentina che si trova in mezzo a una faida sanguinaria in cui è coinvolta la famiglia del suo ragazzo. Lei prova a denunciare, a sottrarre il compagno da quella vita. Sparisce nel nulla il 22 febbraio 1981. Il suo corpo non è mai stato trovato. SEIDISERA della RSI ha intervistato il famoso scrittore e giornalista, riflettendo su una vita spesa a denunciare le organizzazioni criminali.
Roberto Saviano, come si è imbattuto nella storia di Rosella Casini e perché ha deciso di raccontarla?
Ho incontrato la storia di Rossella per caso. Passavo in rassegna, come mi accade ogni anno, gli archivi che riguardano i caduti nella lotta alle mafie. Ma si sapeva poco perché i genitori erano morti e non avevo amici suoi... fin quando ho trovato suo cugino, Sauro, che è uno dei coprotagonisti nella prima parte del libro. Poi siamo riusciti ad arrivare anche alle persone che erano nella casa di Francesco, il fidanzato di Rossella. Lei era convinta che l’amore fosse il capitale sufficiente per trasformare il mondo intorno a sé. Rossella ama Francesco, figlio di un ‘ndranghetista, prova a salvare questo ragazzo che poi, di fatto, la lascia sola. Lei non riesce a capire quanto lui abbia scelto la famiglia e abbia scelto quelle regole. È una storia che mostra come le organizzazioni criminali abbiano paura dei sentimenti di felicità. La ndrangheta la dilania, lei viene fatta a pezzi fisicamente, le strappano le gambe, le strappano le braccia, la decapitano, la buttano a mare, come ci è stato detto da un pentito. Una ragazzina di un metro e 60, toscana. Che paura poteva fare? La paura che anche lasciare il suo corpo a terra, ucciso, significava mettere in crisi un sistema, cioè far capire a tutti che il suo provare a trasformare le cose tramite il sentimento, quindi non con lotte sindacali, ma con il sentimento potesse essere d’esempio, di contagio quasi.
C’è stato un momento in cui si è detto, prima dell’uscita di Gomorra, “se vado avanti con il mio libro la mia vita cambierà”? Si immaginava tutto questo prima?
No, no, assolutamente. Pensavo di cambiare la mia vita ma in meglio. Faccio questo libro con grande entusiasmo. Dopo qualche settimana, il 10.º in classifica. Mi chiama l’allora direttore editoriale Antonio Riccardi che mi dice una frase che, mamma mia, a pensarci oggi... Mi disse: “Ora sei uno scrittore professionista”. Io avevo 26 anni e pensavo di aver dinanzi a me anni di felicità, di possibilità narrative. E invece boom inaspettato, completamente inaspettato. Dovuto poi a molte ragioni che non sono solo quelle del libro. La mia figura... quello che era successo a Casal di Principe... il fatto che ho sfidato i clan... il simbolo che Gomorra diventa... il mondo che si accorge di certe dinamiche tramite Gomorra. E quindi tutto questo porta a quello che poi è il collasso della mia vita.
Ne è valsa la pena? Se potesse tornare indietro cambierebbe qualcosa?
Senza dubbio, se si potesse tornare indietro cambierei tutto. Non rifarei niente. No, per carità, farei tutto in modo diverso, con più prudenza, più spazio letterario, meno battaglie militanti. Ho perso, ho perso. Ma io ho perso, non la mia battaglia. È una battaglia ancora viva, vera, forte. I miei lettori ci sono, donne e uomini europei e non solo. Sono affamati di verità e pronti a impegnarsi. Quando dico io ho perso è perché la battaglia è stata terribile, a un prezzo altissimo. In più l’antimafia di fatto è scomparsa. In Italia quest’estate i vertici del clan Moccia, un grande clan, sono stati liberati, senza nessuno scandalo. E a un grande gruppo imprenditoriale di Acerra, che aveva letteralmente avvelenato la Terra dei fuochi, sono stati restituiti 200 milioni. Di fatto l’antimafia è scomparsa. Di fatto devi pensare che tutta la tensione è su: “Kiev, Kiev, Kiev, Gaza, Gaza, Gaza, Trump, Trump, Trump”. Non è più come un tempo. Cioè non c’è più la pagina internazionale e poi quella locale o nazionale. No, c’è solo una pagina ormai. E le mafie lo sanno. Non hai l’opinione pubblica che chiede di fatto alle istituzioni di intervenire. E di fatto le mafie non sono più un problema. Il problema sono gli immigrati, chi ruba nelle case. Ma nel momento in cui la mafia porta ricchezza, che importa?







