Le canzoni di Georges Brassens sono arrivate al pubblico di lingua italiana perlopiù in misura ridotta e, per così dire, attenuata: qualche allusione, citazione o furtarello da parte di Paoli e De André, le versioni di Nanni Svampa in milanese (quindi, per molti, non più comprensibili degli originali in francese), e non molto altro rispetto alla traduzione di Le gorille (più nella versione di De André che in quella di Svampa). Il tutto inquadrato nella vulgata critica che parla dell’influenza di Brassens sui cantautori italiani quasi esclusivamente sul piano dei testi, dimenticando le sue qualità di compositore e di interprete. Un ruolo laterale, e invece molto importante, l’ha avuto il lavoro di Fausto Amodei, architetto, membro del Cantacronache, autore di bellissime canzoni, deputato, premio Tenco alla carriera (che più meritato di così è difficile pensare). O, come lui stesso si definì, “admirateur, traducteur, interprète, et parfois, imitateur de ses chansons”: delle canzoni di Brassens, appunto, molte delle quali Amodei ha tradotto in italiano o in piemontese, includendo le non poche i cui testi Brassens si limitò a musicare e adattare. Quel lavoro è stato documentato di recente in un album nel quale Amodei stesso ha interpretato le propri versioni. In Oiseaux de passage, invece, il compito dell’interprete e co-arrangiatore tocca a Carlo Pestelli, a sua volta cantautore ed eccellente chitarrista, e si può dire allievo di Amodei di lunga data. L’album – pubblicato come quello di Amodei dall’etichetta Nota di Valter Colle – contiene dieci canzoni, otto in italiano e due in piemontese; nell’efficacissimo volumetto allegato c’è una presentazione di Alessio Lega, un breve saggio della francesista Mirella Conenna, e un’intervista ad Amodei curata dallo stesso Pestelli. Ricordando che i dischi di Brassens furono, fin dagli anni Cinquanta, un modello di pulizia e qualità tecnica, anche questo album si fa notare per una realizzazione particolarmente accurata. Pestelli, poi, evita accuratamente il birignao da cantautore di altri occasionali interpreti di Brassens: si può dire che “legga” i testi, con un’aria divertita, come si può immaginare che abbia fatto tante volte a casa Amodei. Alcune delle canzoni sono proprio malandrine, sia che si riferiscano a personaggi eterni, come il “leccacornuti”, sia che riprendano (ad anni di distanza) vecchie polemiche, come quelle sull’abbandono della messa in latino. Lì Brassens/Amodei incarna uno di quei tradizionalisti cattolici degli anni Sessanta, che dicevano che la messa senza il latino “nous emmerde” (lasciamo immaginare la traduzione). Un brano raro, su testo di Jean Richepin, dà il titolo all’album, ed è invece di sferzante attualità: gli uccelli di passo, i migranti, che volano alti nel cielo, alla ricerca di aria pura, mentre i grassi uccelli da cortile, giù in basso, si lamentano.
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