Oggi, la storia

“Cosa ho a che fare io con gli schiavi”

di Emilio Gentile

  • 11.02.2016, 08:05
Manifestazione antifascista, 25 aprile

Manifestanti antifascisti a Roma durante la festa della Liberazione, il 25 aprile 1995 - immagine d'archivio

  • Reuters Pictures

Oggi, la storia
Giovedì 11 febbraio 2016 - 07:05

Era l’11 febbraio 1926 quando si ammalò gravemente di bronchite a Parigi Piero Gobetti, intellettuale antifascista giunto nella capitale francese da cinque giorni. Non aveva ancora ventisei anni. Lo scrittore Carlo Levi, che fu suo amico, lo ricorda come “un giovane alto e sottile” che “disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte”. Gobetti aveva lasciato a Torino, la sua città, la moglie e un figlio di pochi mesi. Sperava che presto lo avrebbero raggiunto. Aveva deciso di partire dopo essere stato aggredito dai fascisti e imprigionato per ordine di Mussolini. A Parigi, voleva continuare la sua attività di editore. Nato a Torino il 19 giugno 1901, studioso precocissimo, Gobetti a diciassette anni aveva pubblicato la sua prima rivista Energie Nove, che lo fece subito apprezzare da autorevoli studiosi come l’economista Luigi Einaudi, il filosofo Benedetto Croce, lo storico Gaetano Salvemini. Nel febbraio 1922, Gobetti iniziò una nuova rivista di cultura politica, La Rivoluzione Liberale, alla quale affiancò una casa editrice e due anni dopo una rivista di critica letteraria, “Il Baretti”. Fu il primo editore del poeta Eugenio Montale, Premio Nobel nel 1975.

Gli amici che Gobetti conosceva a Parigi, come Giuseppe Prezzolini, l’11 febbraio lo trovarono in una modesta stanza di albergo; molto sofferente ma sereno e ansioso di riprendere la sua attività. Poi, due giorni dopo, aggravatosi, fu portato in ospedale. Morì la notte del 15 febbraio 1926. Prezzolini scrisse alla giovane moglie di Gobetti: “non mi so dare pace di averlo perduto così vicino com’era, che mi pareva che lo avrei salvato. È certo un’illusione, ma quando si è stati accanto ad una persona come era lui, così pieno di fede, pare impossibile che una sorgente così ricca abbia potuto cessare”. Amico di Antonio Gramsci e simpatizzante per il movimento comunista, Gobetti rimase sempre un liberale democratico, che lottava per una rivoluzione intellettuale e morale, capace di formare negli italiani una personalità autonoma educata ai valori della dignità e della libertà. Per questo fu un intransigente avversario del fascismo, nel quale vedeva non solo un partito violento, ma un regime che degradava gli italiani abituandoli all’obbedienza e all’adulazione del capo. Il motto della sua casa editrice era una frase greca: “che ho a che fare io con gli schiavi”.

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