Ciclismo

Quando non era ancora Spartacus

di Giancarlo Dionisio

  • 25.09.2013, 11:42
  • 05.06.2023, 17:13
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La prima medaglia d'oro iridata, negli juniores a Valkenburg 1998

  • KEYSTONE

Non conosco il nome del figlio di Spartacus e non so neppure se ne avesse, ma sotto sotto sarei tentato di smentire il titolo e affermare che Fabian, Spartacus, quello vero, lo è da sempre. Alla sua prima apparizione sul palcoscenico internazionale vinse l’oro nella cronometro individuale fra gli juniores. Era il 1998, l’anno in cui Oscar Camenzind trionfò nella prova in linea fra i professionisti. L’anno in cui mi mangiai le dita fino al secondo metacarpo: seguivo già il ciclismo, Oscar era il mio corridore preferito, ma invece che in Olanda fui dirottato sui Campionati Mondiali di scherma a La Chaux-de-Fonds. Bello, intrigante, ma l’arrivo di Ösi a braccia alzate sul traguardo di Valkenburg mi manca ancora oggi.

Ma torniamo al piccolo Spartacus, che l’anno successivo rivinse l’oro su strade italiane, a Treviso. Poi a soli 19 anni, al suo debutto fra gli under 23, fu argento dietro il russo Evgeni Petrov, uno che da quel giorno ha visto solo la ruota posteriore della bici di Cancellara. E da molto lontano. Erano i mondiali di Plouay e in maglia rossocrociata debuttò un certo Jean Nuttli. Poco più di un anno prima Jean era un "ciccione" diabetico al quale il medico consigliò di fare un po’ di movimento. Lui scelse la cyclette, poi i rulli. Per ore e ore si massacrò sui pedali fino a perdere un'ottantina di chili. Morale: fu portato alle competizioni e si dimostrò anche bravino. Nuttli nel 2000 fu selezionato in Nazionale all’ultimo momento, giunse in Francia in tarda serata, la viglia della cronometro, dormì poco e male, tuttavia giunse 11°. “Habemus Phenomenus”.

Purtroppo il lucernese non confermò di possedere quelle doti di carattere che lo avevano portato a perdere quasi un quintale. La sua parabola fu discendente, un percorso che lo indusse anche a tentare invano il record dell’ora.

Nuttli tornò tuttavia sul palcoscenico nel 2004, grazie ai racconti del vero “Phenomenus”, Fabian Cancellara da Ittigen. Eravamo in Franciacorta, nel modesto albergo dove la non ricca delegazione di Swiss Cycling aveva insediato il suo quartier generale. Un paio di allenatori (ricordo Trachsel che si occupava del settore femminile), un paio di meccanici e massaggiatori, e soprattutto lui, Fabian, a tener banco. Quella che avrebbe dovuto essere una semplice intervista pre-gara si trasformò in una serata di cabaret. Con pochissimi colleghi ci fermammo a bere il caffè più divertente della mia carriera professionale. Non ricordo la ragione, ma ad un certo punto Fabian cominciò a fare l’imitazione di Jean Nuttli, del suo sguardo non particolarmente vivace, complice il suo lieve strabismo, della sua parlata che in dialetto ci avrebbe fatto dire “al ma par mia tantu scvelt”, della passione sfrenata che Nuttli aveva per le Audi sportive, per le quali scialacquava i suoi guadagni, e che con preoccupante regolarità entravano in collisione con qualche muro o albero. Già allora pensavo alla somiglianza tra il Cance e Fiorello. Dopo quel numero di alta comicità arrivai a pensare che fossero la stessa persona.

Erano gli anni in cui Fabian, interrogato su un eventuale piazzamento sul podio, rispondeva: "Che podio! Io voglio vincere". Quell’anno a Bardolino non centrò neppure il podio, ma l’anno successivo a Madrid giunse 3° dietro Rogers e Gutierrez.. Era l’inizio, o meglio la ripartenza. Da allora 4 titoli mondiali e un bronzo in 7 partecipazioni. Cancellara era Spartacus. Di serate come quella in Franciacorta non ne ho più vissute, ma è meglio così: di showman è pieno l’universo, di cronoman di classe cristallina ce ne sono pochissimi.

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