Cultura

L’uomo che inventò l’industria

Tra i grandi pionieri del cinema americano, Thomas Ince è colui che più di ogni altro ha saputo ridefinire il concetto di produzione cinematografica. A cento anni dalla morte, le sue intuizioni sono ancora alla base dell’industria dello spettacolo

  • 25.11.2024, 13:02
  • 25.11.2024, 13:53
Thomas Ince
Di: Nicola Lucchi 

Quando Hollywood non era che il nome di un quartiere e l’insegna più famosa del mondo non campeggiava ancora sulla cima del Monte Lee, numerosi cineasti in fuga dalla East Coast trovarono rifugio nella soleggiata California, ancora inconsapevoli di essere destinati a gettare le basi per la più grande industria dello spettacolo. A farne le spese, il buon Thomas Alva Edison, che avido di denaro e geloso delle proprie invenzioni cercava di instaurare un vero e proprio monopolio sulle attrezzature cinematografiche, dimostrando malvolentieri che, qualche volta, vince chi fugge.

Tra questi fuggiaschi c’era un giovane attore teatrale di nome Thomas Ince, che trovato il suo primo impiego sotto la guida di David Wark Griffith era passato alla regia dopo aver salvato un film prodotto dalla Indipendent Motion Pictures di Carl Laemmle, una produzione indipendente che da lì a qualche anno sarebbe stata ribattezzata Universal Pictures. Conscio delle potenzialità del nuovo arrivato, Laemmle aveva spedito Ince a Cuba, dove una promettente attrice di nome Mary Pickford era alle prese con un cortometraggio. Da qui l’ascesa che lo avrebbe spinto ad abbandonare Laemmle, ma soprattutto la East Coast, a favore della soleggiata Los Angeles. Scoperto che la concorrente New York Motion Picture Company aveva da poco aperto uno studio sulla costa ovest, Ince si fece assumere per essere spedito nell’attuale Echo Park, ai confini di Downtown Los Angeles.

Thomas Ince

Il regista si rivelò presto insoddisfatto delle dimensioni limitate dello studio, e spinto da uno spiccato spirito imprenditoriale affittò un’area di quasi due chilometri quadrati vicino a Santa Monica. Noleggiandola giorno per giorno costruì il proprio impero. L’area prese il nome di “Inceville” e fu il primo studio a dettare le nuove regole dell’industria nascente. Per la prima volta, in un unico luogo erano presenti scenografie, uffici di produzione, ampi spazi per servire i pasti a centinaia di dipendenti, nonché set attrezzatissimi e camerini. Le dinamiche di produzione di un film stavano radicalmente cambiando forma: era la catena di montaggio applicata alla settima arte. Tra le innovazioni introdotte da Thomas Ince ci fu infatti quella della specializzazione e della suddivisione dei ruoli tutt’ora vigente. Se fino a quel momento il regista era sempre stato alle prese con ogni mansione riguardasse la sua opera, dall’avvento di Thomas Ince tutto era destinato a cambiare. Come dichiarò lo stesso produttore: “Un regista non poteva più essere il tuttofare; uomini e donne particolarmente qualificati in determinati ambiti dovevano assumere la responsabilità dei vari dipartimenti.” Erano i primissimi anni Dieci e il cinema si stava trasformando in un’industria.

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Non si trattava solo di una questione di spazi in cui suddividere il lavoro, ma di specifiche mansioni affidate a figure specializzate, come quella ancora inedita del producer, che comparve in questi anni per essere affiancata alla realizzazione di un film, dalla produzione alla postproduzione, sia in chiave creativa che organizzativa. Ince fu tra i primi ad affidare regia, sceneggiatura e montaggio a tre distinte figure, in un sistema organizzativo impeccabile grazie al quale riuscì a realizzare più di ottocento film, per lo più western, in meno di quindici anni.

E qui si giunge al triste epilogo del produttore che, salvo sporadiche collaborazioni con Adolph Zukor e Samuel Goldwyn, costruì il proprio studio indipendente imprimendo una spinta fondamentale non solo all’industria del cinema, ma a uno stile narrativo dinamico e spettacolare che gli fece guadagnare l’appellativo di “Padre del Western”. Si potrebbe concludere questo breve omaggio a Thomas Ince con la sua morte per insufficienza cardiaca, se non fosse che il suo decesso, avvenuto in circostanze ambigue, diede vita a speculazioni di ogni genere. Quella più curiosa sosteneva che William Hearst avesse sparato a Ince scambiandolo per Charlie Chaplin.

CHAPLIN & DAVIES

Curioso, in una fantasia ucronica, immaginare l’ipotetica pallottola attraversare il corpo del vero destinatario, eliminando Chaplin dalla storia del cinema. Il fatto certo, annullata ogni congettura, è che il 15 novembre del 1924 il magnate della stampa William Randolph Hearst invitò Ince per un fine settimana in barca che, per il povero produttore, si rivelò l’ultimo della sua vita. La scrittrice Elinor Glyn, presente quella notte, dichiarò all’attrice Eleanor Boardam che agli ospiti della nave fu chiesto di mantenere il segreto sull’accaduto. Dettaglio che stuzzicò le fantasie di coloro che reputavano la morte di Ince tutt’altro che naturale. Tra le ipotesi più appetitose quella che vedeva Charlie Chaplin in atteggiamenti compromettenti con l’attrice Marion Davies, allora compagna di Hearst. Infuriato con Chaplin, il re della stampa americana avrebbe sparato un colpo di pistola, colpendo accidentalmente il bersaglio sbagliato. La stampa ufficiale parlò sempre di decesso per insufficienza cardiaca ma, pur restando lontano dal pensiero complottista, sarebbe ingenuo pensare che l’imprenditore capace di affossare Quarto potere solo una manciata di anni più tardi non sarebbe stato in grado di insabbiare una notizia che lo avrebbe altrimenti distrutto.

RANDOLPH HEARST & MARION DAVIES

Da brava creatura cannibale, Hollywood si nutre spesso di se stessa, e una morte così succulenta non poteva prima o poi che ingolosirla. Toccò a Peter Bogdanovich cogliere l’occasione di farne un film. Nel 2001, Hollywood Confidential (The Cat’s Meow) celebrò Hollywood e la sua anima oscura attraverso uno degli eventi che più riuscì a scuoterla, omaggiando il produttore che, oggi per lo più dimenticato, aveva contribuito a darle vita.

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